la Repubblica, 23 maggio 2024
Intervista a Marilynne Robinson
La religione, e in particolare la fede, è al centro dell’intera produzione letteraria di Marilynne Robinson, a volte in maniera assolutamente esplicita. Non può quindi stupire la pubblicazione di Reading Genesis (Farrar, Straus and Giroux) “Leggendo la Genesi”, nel quale ha deciso di confrontarsi con il libro con cui inizia la Bibbia. Sin dalle prime righe risulta evidente come nella sua lettura l’anima della credente si fonde con quella della scrittrice: i due aspetti appaiono inscindibili e l’uno rappresenta il complemento dell’altro. Si tratta di un altro elemento che caratterizza l’opera di questa grandissima autrice che ha scritto solo cinque romanzi, dei quali almeno due, Gilead eCasa,sono già classici della letteratura contemporanea, oltre a raccolte di saggi, nelle quali ha riflettuto anche sull’ambiente e il welfare.
L’itinerario espressivo di Robinson sarebbe incomprensibile senza partire dalla sua fede cristiana: originaria di Sandpoint, nell’Idaho, è stata educata secondo i dettami presbiteriani, ma con la maturità ha fatto proprio il principio calvinista della predestinazione.
Ogni cosa si compie dunque per volontà di Dio, e ogni esperienza, anche la più tragica e sconvolgente, è da interpretare e vivere in questa chiave: Reading Genesis appare come una nuova tappa di una costante riflessione su come la libertà individuale possa coesistere con il piano divino. Nelle prime pagine di questo testo denso e profondo, che a detta del New York Times riesce «a far sentire anche agli atei la presenza di ciò in cui non credono», Robinson sostiene che la Bibbia sia quello Leibnitz definiva una teodicea, e conseguentemente ogni aspetto dell’esistenza deve essere interpretato alla luce del rapporto tra la presenza del male e la giustizia divina. «Credo fermamente che Dio sia buono come è buona la creazione» racconta senza alcuna enfasi «ma dall’inizio dei tempi l’esistenza ci mette a confronto quotidiano con il male».
Lei ha definito la Bibbia come una meditazione sulla presenza del male, che sembra imprescindibile e ineluttabile.
«Insieme alla meditazione vorrei sottolineare l’elemento narrativo e quindi letterario. La Bibbia è stata scritta da uomini, a mio modo di vedere da un gruppo di artisti che si sono espressi su qualcosa che supera la conoscenza. A cominciare dalla Genesi, la Bibbia è anche un racconto, e la narrazione va di pari passo con la constatazione del male con cui siamo costretti a convivere, e che noi stessi generiamo».
I teologi insegnano che il male non si può spiegare ma solo raccontare.
«È un mistero infatti, che il credente contrasta con la fede e la fiducia nella provvidenza. Anche in questo caso non si deve sottovalutare l’importanza del racconto: la condivisione rappresenta un elemento catartico rispetto alla sostanza».
Nel Vangelo di Giovanni, è Cristo in prima persona ad affermare che «il principe di questo mondo è il diavolo».
«È una frase che spaventa e atterrisce, ma la storia dell’umanità conferma in ogni momento questa tragicaaffermazione. Penso tuttavia che l’affermazione sia da intendere metaforicamente, come molte delle espressioni di Cristo: una constatazione e insieme un monito sulla persistenza del male. Nello stesso tempo è un modo per mettere in guardia dal maligno: il diavolo, che per il credente è l’avversario, è un impostore. Nella lettera ai Corinzi San Paolo ne parla come “il dio di questo secolo” e in quella agli Efesini come “il principe della potestà dell’aria”. E, tornando a Giovanni, scrive nell’Apocalisse che “seduce tutto il mondo”».
Lei parla ripetutamente di “storia sacra”, tuttavia, se leggiamo l’esistenza alla luce della Provvidenza ogni momento della storia diventa sacro.
«È esattamente così: ogni cosa, ogni avvenimento ha un senso, e segue il disegno divino».
Seguendo il suo ragionamento obbediscono ai disegni divini anche orrori quali i genocidi, la schiavitù, le tragedie naturali.
«Ovviamente per noi ciò è arduo da accettare, tanto meno da comprendere: non sappiamo come relazionarci con il dolore che soffriamo, soprattutto quando è frutto di un abominio. È un discorso estremamente delicato, che ha a che fare con la libertà e con il diritto di opporsi a soprusi e altre mostruosità. Parallelamente, se non inquadriamo anche gli eventi più tragici all’interno di un disegno divino, rischiamo paradossalmente di perdere la fede e rimanere con l’orrore, come ad esempio l’Olocausto».
La Bibbia racconta che Dio ha scelto ripetutamente il più giovane rispetto all’erede naturale, come Giacobbe su Esaù, Giuseppe sui fratelli e Abele su Caino. Nel Nuovo Testamento il figliol prodigo viene festeggiato, suscitando l’amarezza di quello virtuoso.
«Sono tutte categorie umane rivoluzionate da Dio: la divina provvidenza segue altre strade, misteriose. Una chiave di lettura è nella misericordia e nel perdono».
È d’accordo con Ivan Karamazov per cui «se Dio non esiste tutto è permesso»?
«Sinceramente no, perché credo che ci sia qualcosa di sacro in ogni esperienza umana, spesso invisibile e inimmaginabile».