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 2024  maggio 23 Giovedì calendario

Intervista a Red Sox

Incappare in un tassista di notte con la tendenza ad andare contromano può essere rischioso. Di certo lo è per lui. Roberto Mantovani è ormai noto non solo a Bologna, dove lavora, ma in tutta Italia. Più come Red Sox, soprannome derivante dalla squadra di baseball per cui tifa. Ha cominciato denunciando su Twitter le malefatte dei colleghi “no pos”, che pretendono il contante per evadere il fisco, poi pubblicando i propri incassi, svelando segreti di categoria e ricevendo per questo minacce, sputi, tagli alle gomme e l’isolamento, fino all’esclusione dalla cooperativa. Per risposta, ora pubblica Tassista di notte (Garzanti), il libro che contiene le sue avventure, ma soprattutto le sue accuse.
Prima domanda, retorica: ha aderito allo sciopero nazionale di martedì scorso?
«Certo che no, perché sono distante dalle loro politiche di difesa della categoria ancorate al secolo scorso: un puro sistema di protezione».
Di che cosa?
«Dello status quo».
Quindi è favorevole a concedere nuove licenze?
«Il punto è come farlo senza azzerare il valore delle licenze esistenti, che sono state pagate. Da me, ad esempio: 240mila euro. Occorre stabilire il prezzo a cui restituirle.
Bisognerebbe trovare un accordo, ma non lo vogliono».
Chi?
«Le sigle sindacali».
Che sono molte, almeno una dozzina nella manifestazione romana, per quanti tassisti?
«La cifra esatta non si sa: diciamo trentamila».
Non tanti, per l’influenza che esercitano…
«Poi ci sono i familiari, gli amici. E il potere psicologico: siamo sulla strada, a contatto. Diffondiamo opinioni. Se ogni giorno diamo venti passaggi e raccontiamo la stessa storia o la stessa visione delle cose, moltiplicato trentamila è una bella propaganda».
E i passeggeri ci credono?
«Un tempo sì. Ora meno. Soltanto gli anziani. Sotto i trenta si accendono se invece ci si esprime controcorrente».
Sembra il destino dei telegiornali…
«Sì, ma comunque il tassista ha potere».
Sarà per questo che il ministro Salvini, di solito duro con gli scioperi si è limitato a “sperare” che questo non arrecasse disguidi?
«Ma li ha arrecati, e tanti. Sa quanti turisti hanno perso il treno o l’aereo? Ma il ministro non voleva altre critiche dopo quelle ricevute per aver allargato del dieci per cento lelicenze».
Lei fa il tassista da otto anni e ha capito quello che non hanno sistemato in trenta?
«Non è così difficile. Bisognerebbe smetterla di dire no a qualsiasi intervento, ma evitare l’estremismo del “liberi tutti”. Trattare, anche con Uber, alla luce del sole, senza appelli populisti. Se abbiamo causato odio è colpa nostra».
Lo sa di essere diviso, di passare dal “noi tassisti” a “loro”?
«Sì. Amo il lavoro, meno come viene fatto».
Tutte le magagne che denuncia, quando sul taxi saliva da passeggero non le aveva intuite?
«Molte le ho capite dopo, soprattutto questo egoismo da pazzi».
Perché non rivende la licenza e fa altro?
«Me lo dicono in molti. E mi danno un motivo in più per continuare. È un mestiere magnifico. C’è l’emozione del primo cliente, la notte, che è come la prima pagina di un romanzo e determina le successive».
Poi però c’ è da stare al posteggio: stessa allegria?
«Mi aspettavo chiacchierate tra colleghi e invece mi tocca stare chiuso in macchina. Nessun rapporto. Adesso però si sono passati parola e almeno mi lasciano stare».
L’uscita del libro non aiuterà…
«A Bologna, peggio di così. Nelle altre città vorrà dire che se prendo il taxi mi camufferò».
Visto che è trasparente sugli incassi, quanto ha ricevuto di anticipo?
«Un euro per copia, presumendone diecimila. Lordi».
Ha anticipato anche la risalita delle ostilità? Fatte le debite proporzioni, ha mai visto Serpico?
«Ho messo tutto in conto. Mi sveglio come voglio essere. Sono un miracolato, sopravvissuto a un cancro. So incassare senza reagire. Mi hanno sputato in faccia, mi sono asciugato. Dopo il taglio delle gomme in questura mi hanno avvertito: la prossima volta saranno botte. Ma se prendo un pugno, ho vinto io».
Quindi, provoca?
«No, dico la verità, non so trattenermi».
La sua campagna contro i No Pos ha avuto effetti?
«A Bologna sì. E mi dicono che in tutta Italia le carte di credito sono più accettate».
Però la sua cooperativa, la Cotabo, l’ha espulsa…
«Me l’aspettavo. Già c’era stata una raccolta di firme contro di me, ma occorreva un provvedimento dall’alto ed è arrivato. Mi hanno accusato di diffamare, non essere consociativo, non remare dalla stessa parte».
Contromano si dichiara anche nel sottotitolo del libro. Quanto le costa fare l’indipendente?
«Più di metà degli incassi. Dopo ogni corsa devo tornare al posteggio e aspettare».
Non può rimediare con le chiamate dirette dei sostenitori?
«Non funzionerebbe. Se ti chiama uno che è lontano non ti conviene andare. Avevo un amico tassista che alla madre rispondeva: chiama un taxi ch’è meglio».
A casa tutti bene? Tutti sereni per questa sua esposizione?
«I miei figli erano preoccupati, trovare escrementi nella cassetta della posta non è piacevole. Ora vivo solo, con due gatte. Essere solo mi rende più libero».
Il cliente ha sempre ragione?
«Non sempre, ma bisogna cercare di evitare le controversie».
Anche quando chiede ricevute in bianco o blocchetti intonsi?
«Io non li dò mai, ma li chiedono: dipendenti in trasferta, politici.
Categorie in nota spese, insomma.
Pagare in contanti e avere la ricevuta in bianco è un do ut des».
Giornalisti?
«Meno sfacciati, è raro. Sanno come stanno le cose».
È contento di sé?
«Sì, perché sto per andare a lavorare e inizia un’altra storia».