la Repubblica, 23 maggio 2024
Ritratto di Baris Boyun
Il killer dalla pistola d’oro che si spacciava per terrorista “Pronti ad attacchi kamikaze”
di Gabriella Colarusso, Roma e Massimo Pisa, MilanoIl vezzo era la BB, l’arma personalizzata, una pistola ricoperta d’oro da regalare ai soci più fidati. «C’è la fabbrica. Ho il mio produttore d’armi personale. Non li vendo questi, li do ai miei ragazzi». E di soldati pronti a tutto, la banda di Baris Boyun ne vantava parecchi, a piede libero o meno: «Ho 300 uomini in carcere». Armati di kalashnikov e uzi, o di fucili di assalto G95, come l’8 settembre di due anni fa quando sterminarono uno dei più grandi signori della droga d’Europa, il serbo Jovan Vukotic, scappando in moto nel traffico di Istanbul. Il più eccellente delle decine di delitti per cui la Turchia ha chiesto l’estradizione, senza mai indagarlo per terrorismo.
Il dilemma, cui cercherà di rispondere la fase due di questa inchiesta, è capire a cosa servisse questo esercito. Se, insomma, c’è da credere ai proclami del “Fratello maggiore”, quando al telefono annunciava: «Ho mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk, ho detto che noi non accettiamo un’organizzazione così e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione». Se davvero stava «addestrando i miei ragazzi nelle azioni da Fedayn, attacchi kamikaze» e l’escalation di attentati – uno in Turchia è stato bloccato in fase di avanzata preparazione da questi diciotto arresti – aveva un risvolto politico: «Tutto lo Stato parlerà di noi una volta finito».
O se invece c’è da credere a chi ha osservato l’intera traiettoria criminale di Boyun, come il giornalista investigativo turco Timur Soykan, autore del libro The Wall,che all’indomani della strage di Loutsa dello scorso 11 settembre (sei gli uomini di Baris sterminati) commentò: “È una storia di globalizzazione della mafia locale turca, l’ultimo anello di una guerra tra bande in Europa”. Fonti della comunità curda, interpellate daRepubblica, hanno negato un passato o un presente militante del leader della “Banda dei Dalton”. E i dubbi sono venuti agli stessi investigatori dopo l’udienza per l’estrazione in corte d’Appello a Bologna, l’11 aprile 2023, in cui Boyun dovette giustificare la sua scarsa conoscenza del curdo con «lo stress per essere stato in carcere». Eppure i proclami del 39enne trafficante hanno impressionato i magistrati del dipartimento Antiterrorismo della Procura milanese – la pm Bruna Albertini e l’aggiunto Eugenio Fusco – e il gip Roberto Crepaldi che ha riconosciuto nell’ordinanza cautelare le finalità terroristiche della banda armata. Colpiti dalla foga con cui il capo incitava da Crotone il commando che avrebbe dovuto assaltare con bombe e bazooka la fabbrica Kurtoglu di proprietà di Saral Burhanettin, a Tekirdag sul Bosforo: «Siete pronti ragazzi? Buona fortuna in battaglia! Radete al suolo quella fabbrica! Su, passate, leoni!». Solo l’intervento della polizia turca, avvisata per tempo dalla Questura di Como, aveva sventato la strage arrestando tutti, ma non gli ardori di Boyun, pronto a nuovi assalti: «Tutta la Turchia ne parlerà», profetizzava. Sfidando il potere: «Lo Stato ha finito tutti i capi mafiosi curdi, mentre ha protetto quelli turchi».
Questo del “noi e loro”, dei rivali Sarallar che sarebbero protetti dal governo a differenza dei suoi uomini, i “Dalton” alla maniera del vecchio West che «vengono dalla strada», è un chiodo fisso di Baris Boyun. Che vanta aderenze con ex appartenenti ai Servizi e amicizie con politici georgiani. “La finalità del gruppo”, scrive il gip, “non si limita ad una lotta tra clan per il controllo del territorio e delle dinamiche criminali, ma assume natura propriamente terroristica”, con l’obiettivo di “spezzare il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra queste (le bande rivali, ndr ) e lo Stato, orientando i comportamenti delle istituzioni e sostituendosi, evidentemente, a quei legami”.