Corriere della Sera, 23 maggio 2024
Giuliano Giuliani, il primo calciatore a morire di Aids
Tra i dimenticati, quelli di cui più vale la pena occuparsi, c’è anche un campione d’Italia del calcio anni Ottanta, un protagonista della meravigliosa avventura del Napoli di Maradona. O, meglio, di Maradona e di tutti gli altri. Anche di un introverso portiere che giocò per due anni con la maglia azzurra e poi fu improvvisamente messo alla porta e, da scudettato, finì a giocare in serie B con l’Udinese.
La sua storia è stata rievocata dal collega Paolo Tomaselli nel suo bel libro Più solo di un portiere e da Giorgio Porrà con uno dei suoi poetici documentari per Sky Sport.
Si chiamava Giuliano Giuliani, ed era nato nella rocambolesca data del 29 settembre, quella della canzone di Lucio Battisti e della nascita di Berlusconi.
È morto a trentotto anni. È morto di Aids, il primo calciatore a contrarre la malattia. È morto nel silenzio di tutti.
Ai suoi funerali non c’era nessuno dei colleghi che con lui avevano giocato nel Verona, nel Napoli, solo Mattei del Como e Vanoli dell’Udinese. Non un allenatore, non un presidente. Nessuno, se non pochi amici.
Questa, la generazione del Covid, sembra aver dimenticato cosa è stato, e ancora è, l’Aids.
Il coronavirus ha ucciso sei milioni di persone in tutto il mondo, l’Hiv trentasei milioni.
L’Aids era una malattia di cui vergognarsi. Se l’avevi contratta eri drogato, omosessuale o dedito alla promiscuità sessuale. Tutte cose per le quali il pensiero comune, ancora oggi, indirizza all’inferno.
Anche allora qualche sventurato, che farà persino politica, disse che «c’erano forti sospetti che l’Aids fosse una bufala».
Magic Johnson, uno che ha sperimentato che una bufala proprio non era, disse: «Il peggior momento di tutti questi fu mentre tornavo dallo studio del dottore, per andare a dire a mia moglie che ero sieropositivo».
È questo il momento dal quale partiamo nella conversazione con la moglie di Giuliani, Raffaella Del Rosario. «Lui me lo disse a Udine, Aveva fatto gli esami di routine. Venne un giorno e mi confessò di essere sieropositivo. La mia vita precipitò nel buio. Mia figlia aveva un anno e mezzo, per fortuna era stata concepita prima che lui contraesse la malattia. Al dolore, e sinceramente anche la rabbia, per quello che stava succedendo a Giuliano, si accompagnò anche l’ansia per il mio destino. Eravamo una coppia che aveva una normale vita coniugale. Lui forse aveva preso l’Aids a ottobre. Eravamo a giugno. Ho fatto i controlli ogni sei mesi, tutte le volte con la sensazione che potesse arrivare anche su di me la mannaia di quella malattia. Mi sono separata, sono andata a Napoli, con la bambina. Ero ferita, angosciata. Lui mi ha fatto causa, mi ha tagliato ogni contributo e ha chiesto l’affidamento della bambina. Io a Napoli ho ricominciato a lavorare. Ma non erano più i tempi allegri dello scudetto.
Anni bellissimi. Vivevamo a Posillipo, l’estate la passavamo a Capri. Mi sono sposata a 22 anni, lavoravo in una televisione e tutto mi sembrava rosa. Giuliano era molto legato a Corradini e a Diego. Passavamo le serate insieme a giocare a Cluedo, c’era un clima di festa continua. Io sono rimasta incinta nello stesso periodo in cui successe alla moglie di Maradona. E ricordo la meravigliosa celebrazione della vittoria nel campionato del 1990, su una nave in cui tutta la squadra si ritrovò. Sembrava tutto possibile, quella sera. Avevo conosciuto Giuliano nel 1987, a Milano, durante una festa. Io lavoravo come valletta, lui giocava nel Verona. Era un ragazzo introverso, complesso, molto affascinante. Era simpatico, umile, sbruffone, tutto insieme. Aveva avuto un’infanzia complicata, della quale non amava parlare. Persino a me non ha mai detto che suo padre era stato travolto da problemi di alcolismo, che sua madre era stata uccisa in Germania dal suo nuovo compagno.
Era destinato a sostituire Zenga all’Inter, ora sarebbe ancora qui. Invece alla fine Walter rifiutò di andare via e Maradona si ricordò di quel portiere gialloblù che gli aveva parato dei rigori. Per questo sistema di casualità, sliding doors, lui si ritrovò una sera a Buenos Aires, alla festa di addio al celibato di Diego».
Qui affido il racconto di quella sera a un suo collega che mi chiede di poterlo fare, purché sia privo di omissioni, senza essere nominato. «Giuliano era un ottimo portiere e un bravo ragazzo. Ma arrivò dopo Garella al quale tutti volevamo bene e risentì, incolpevolmente, di questa successione. Era complicato, chiuso. Durò solo due anni, nonostante fosse forte.
Quella sera Diego aveva organizzato un addio al celibato a suo modo, c’erano quattordici ragazzi e 42 ragazze. Chi c’era mi ha raccontato che appena arrivarono le automobili con gli invitati si chiusero le porte e si spensero le luci. Giuliano fu visto tornare in albergo alle cinque di mattina, quella sera si è giocato la vita».
Eros e Thanatos, istinti di vita e di morte che si sovrappongono, magari allineati nel domino del destino.
Dice Raffaella: «Io avevo partorito da sette giorni, ovviamente non potei andare. Questa coincidenza mi ferì in modo particolare e fu una delle ragioni per le quali ci separammo. Ma gli sono restata accanto nella fase finale della sua vita. Lui aveva tentato di tutto per curarsi. Si era trasferito a Bologna e aveva trovato una nuova compagna che però, quando la malattia si è aggravata, lo ha lasciato. Lui non aveva nessuno, se non gli zii che avevano cresciuto lui e suo fratello, morto dopo una vita complicata.
Giuliano non immaginava di morire. La sera prima, in ospedale, ero con lui. Mi ha detto: “Ci vediamo domani, voglio stare un po’ con Gessica, la nostra bambina.”. Mi ha fatto giurare che non avrei mai detto a sua figlia la causa della morte. Io lo feci. E ho tenuto fede a questa parola data. Lei, a diciotto anni, lo ha scoperto su Internet e, per questo, ha pagato un prezzo molto alto.
Il giorno dei suoi funerali non venne nessuno dei suoi compagni del Napoli o del Verona. Non un telegramma, una corona di fiori. Niente, Giuliano Giuliani era buono per parare i rigori, non meritava un atto di solidarietà. Attorno a lui, negli anni della malattia, si era fatto il vuoto. Lo avevano persino arrestato per una assurda storia di cocaina, dalla quale fu subito scagionato. Ma la paura di essere associati a lui, nel tempo in cui avere l’Aids significava essere o drogati o omosessuali, lo aveva reso un monatto, una anomalia da ignorare».
Sarebbe bello se un giorno, qualcuno, nel rutilante mondo del calcio, si ricordasse di quel portiere silenzioso e capace, di quell’uomo sfortunato, e gli dedicasse qualcosa. Che so, un premio. O un torneo estivo.
Così, solo per ricordare che Giuliano Giuliani è stato uno di loro. Non un appestato di cui rimuovere, ancora oggi, l’esistenza.