La Stampa, 23 maggio 2024
Presidi senza cuore
Sono questi i presidi che servono alla scuola? Quelli che tutto sanno di diritto amministrativo, diritto civile, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, processi di programmazione, gestione del contenzioso? Che hanno memorizzato le mille pagine dei manuali ad hoc (di cui almeno 950 non saranno mai utilizzate nell’esercizio delle funzioni)? Il concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici che inizia il 23 maggio con le prove preselettive (587 posti in tutta Italia, 24.944 candidati) è la fotocopia di quelli fatti negli ultimi anni: leggi, norme, regolamenti, prescrizioni, codici, sentenze, circolari, decreti, inventari, protocolli, con incursioni mirate sul penale per sapere bene che cosa si rischia. E la didattica? E la capacità relazionale? E l’attitudine ad aggregare e stimolare? Non importa: normativa “uber alles”.
Sia chiaro: nella scuola italiana ci sono ottimi dirigenti scolastici, capaci di creare nelle proprie scuole un’atmosfera positiva di collaborazione e condivisione e di intercettare le reali esigenze formative degli studenti: ma sono tali per virtù ed esperienze proprie, al di fuori dei criteri burocratici della selezione. I presidi degli ultimi concorsi sono stati imbottiti di prescrizioni ed educati alla “paura": paura dell’Asl, dei ricorsi, delle violazioni alla privacy, dei controlli sulla sicurezza, dei vizi di forma. E così, accanto ai tanti virtuosi, ce ne sono altrettanti che si attengono a quanto insegnato e intasano le mail di docenti e famiglie con circolari che regolano ogni attimo della vita scolastica. C’è chi arriva a 400 comunicazioni in un anno, chi (orgogliosamente) vanta di aver comunque superato il tetto del predecessore. Non importa se le troppe prescrizioni non vengono né lette, né applicate: importa premunirsi contro gli imprevisti, autotutelarsi potendo dire, all’occorrenza, «ma io lo avevo scritto». È ciò che i candidati imparano su manuali e questionari di prova; ciò che hanno ascoltato nei corsi di preparazione, predisposti da associazioni e sindacati per ogni tasca e di ogni durata; ciò che esperti variamente titolati hanno illustrato, spiegato, consigliato.
Limiti del presente, dove l’asfissia burocratica paralizza le energie? No: male antico, che il presente ha solo esasperato. Queste denunce le fece Francesco De Sanctis nel suo primo discorso da ministro dell’Istruzione dell’Italia unita. Era il 13 aprile 1861, aula di Palazzo Carignano: «Dichiaro, o Signori, che ho trovato nel Ministero un sovraccarico tale di regolamenti e di norme che mi sono detto: “piuttosto che ficcarmi in capo questa roba, vorrei gittare per la finestra dieci portafogli"». Con un linguaggio irrituale rispetto alla prosa paludata del Risorgimento, il neoministro risponde ad un’interpellanza riguardante la libertà di insegnamento e spiega che gli ostacoli veri alla libertà del docente stanno a monte di qualsiasi censura ideologica: a limitare il lavoro didattico «sono le ingerenze della burocrazia, la mania di istruzioni, di circolari, di carte per regolare ogni minimo passo che deve fare il professore», le pastoie prodotte da «un cumulo di attribuzioni che fanno sì che l’insegnamento, per troppo zelo dei medici, si trova ammalato».
Le storie di un secolo e mezzo fa, di un’Italietta appena nata che doveva fare i conti con una modernità di là da venire, sono diventate le storie di un vizio trasformato in cancrena. Quando i dirigenti scolastici vincitori del concorso entreranno in servizio, passeranno il tempo a preparare circolari che nessuno leggerà, poi a compilare moduli ministeriali per statistiche inutili inventate da ogni ufficio, poi a verificare che la documentazione sulla privacy, sugli appalti, sulle nomine sia esaustiva, aggiornata, inattaccabile. I più zelanti si destreggeranno compiaciuti tra cento acronimi (Ptof, Rav, Mof, Rspp, Pnsd, Rasa, ecc) e li citeranno in un profluvio di circolari interne. I più capaci dovranno invece rubare il tempo alle incombenze inutili per fare ciò che davvero un dirigente deve fare in una scuola: creare un ambiente di lavoro sereno, stimolare la didattica e l’innovazione, capire le esigenze di studenti, famiglie, docenti, personale.
«Dichiaro, o Signori, che l’amministrazione della pubblica istruzione non è una macchina che cammini, dichiaro che vi ha complicazione di ruote. I regolamenti, ammassati gli uni agli altri, hanno costituito a poco a poco una scienza arcana, di cui alcuni si sono fatti depositari, con deliberazioni spesso prese senza saputa quasi del ministro»: così Francesco De Sanctis. Da allora, 163 anni di norme e burocrazia in più, alla faccia di quella legge Berlinguer (n. 59/1997) che garantisce alle istituzioni scolastiche «autonomia organizzativa, didattica e di ricerca». E con buona pace dei quasi 25mila candidati che, in questi giorni, annaspano nel labirinto delle norme. —