il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2024
In Corea del Sud i giovani non si sposano e non procreano più
Il tasso di fecondità in Corea del Sud è sotto l’1,3% da oltre due decenni. Il governo ha investito ingenti risorse umane e finanziarie per incrementare il tasso di natalità.
Sono stati resi disponibili vari incentivi economici, come premi in denaro, sussidi per l’assistenza all’infanzia e rimborso per i trattamenti contro l’infertilità. I contributi riguardano ecografie e test per la diagnosi delle malformazioni fetali. Nonostante le numerose forme di sostegno diretto e indiretto al parto e alla crescita dei figli, il declino della natalità è una tendenza che non solo persiste, ma che si è intensificata, avvicinandosi a un minimo storico senza precedenti nell’era moderna a livello mondiale. (…) In generale, i fattori legati alla bassa fertilità includono la precarietà lavorativa, la scarsa accessibilità degli alloggi, le importanti risorse economiche necessarie a crescere dei figli e una cultura poco favorevole alla famiglia nei luoghi di lavoro.
(…) Di fronte a questa crisi senza precedenti, che potrebbe colpire in futuro anche altri Paesi, è fondamentale comprendere le condizioni in cui vivono e lavorano i giovani adulti in Corea del Sud. Essi, sebbene considerino la propria vita gestibile, se non persino fortunata, potrebbero esitare a sposarsi e diventare genitori se si sentono gravati dalle difficoltà di trovare un lavoro e di mantenere un livello minimo di status sociale.
(…) “La generazione Opo” (“o” significa “cinque”, e “po” “rinunciare”) è un’espressione che si riferisce alla generazione che ha rinunciato ad aspetti cruciali: frequentare una persona; sposarsi; avere figli; possedere una casa; fare carriera. Questa espressione particolare è emersa a metà degli anni 2010 ed è poi evoluta nella “generazione Chilpo” (“chil” significa “sette”), in cui ai 5 elementi della generazione Opo si sono aggiunte le relazioni sociali e gli hobby, per trasformarsi infine nella “generazione N-po” (ovvero, “numerose cose” a cui rinunciare). (…) Le difficoltà incontrate dai giovani adulti non derivano solo da instabilità finanziarie, ma anche da tendenze sociali competitive, orientate al successo, come il credenzialismo. si basa sui titoli universitari e sulle certificazioni accreditate dal governo per le professioni ad alto reddito, come quelle di medico e avvocato. I titoli universitari di alto livello e i certificati per le professioni ad alto reddito hanno un enorme valore sociale e sono sinonimo di uno status elevato. Questa forma di credenzialismo alimenta la competizione tra i giovani per tutta l’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta.
La maggior parte dei genitori coreani ritiene che i figli non possano essere felici e prosperare senza una buona istruzione. Pertanto, sono portati a crescerli attribuendo una grande importanza al successo accademico e alla competenza sociale, e investono il proprio tempo e denaro nel tentativo di prepararli a entrare in università esclusive. Prima dell’università, circa l’80% degli studenti frequenta le hagwon, istituzioni private a scopo di lucro per il tutoraggio dei giovani studenti che si preparano all’università e alle scuole superiori. A Seul ci sono più di 24.000 hagwon, un numero di gran lunga superiore a quello dei minimarket presenti nell’area metropolitana.
Per assicurarsi il successo accademico dei figli, i genitori pagano sia le scuole normali sia le hagwon, una tendenza che perdura da decenni. Al giorno d’oggi, anche i laureati frequentano centri privati a pagamento per prepararsi agli esami di assunzione, dal momento che la competizione per ottenere posti di lavoro stabili e ben retribuiti si fa sempre più forte. Pertanto, i giovani e le coppie coreane sono ben consapevoli dei costi associati alla crescita di figli intellettualmente competenti, e le loro esperienze accademiche diventano un peso psicologico ed economico per le future famiglie.
La Corea del Sud è riconosciuta come uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di istruzione, con circa l’88% delle giovani donne e l’83% dei giovani uomini (19-34 anni) laureati o che frequentano una università. (…) Il credenzialismo è diventato parte integrante della mentalità e del sistema in questo Paese, dove l’eccellenza accademica è vista come l’unica via per il successo secolare. Molte coppie giovani credono di dover crescere i figli in modo da renderli individui altamente competenti e competitivi. La consapevolezza che educare i figli in questo modo richiede enormi sforzi e investimenti di tempo e denaro e provoca frustrazione, perché i genitori immaginano i figli come potenziali perdenti nel sistema altamente competitivo del Paese, e di conseguenza esitano a farne.
(…) Il basso tasso di natalità è strettamente legato alla qualità della vita delle giovani donne all’interno della società e della famiglia. (…) Molte donne sposate con un impiego incontrano difficoltà nel bilanciare lavoro e responsabilità domestiche. Sul posto di lavoro, molte madri si scontrano con atteggiamenti ostili da parte di superiori e colleghi nel momento in cui si preoccupano dell’educazione dei figli. Anche in famiglia non ricevono molto sostegno, perché la maggior parte dei mariti lavora per un gran numero di ore e molti giovani uomini non sono ancora abituati a condividere le responsabilità dell’educazione dei figli e delle faccende domestiche.
Nel settembre 2022 è morta tragicamente una mamma lavoratrice. Era una programmatrice di computer, e si è suicidata lasciando questo messaggio: “Una mamma lavoratrice è una peccatrice?”. Secondo la famiglia, è stata maltrattata una volta tornata al lavoro dopo il congedo di maternità. Ad esempio è stata assegnata a una divisione la cui funzione non era compatibile con le sue mansioni abituali. Aveva partecipato, con regolare permesso, alla cerimonia di laurea della figlia, che si era svolta in un giorno lavorativo. Purtroppo si è subito resa conto che, dopo questa assenza, il supervisore e i colleghi hanno iniziato a trattarla male. Questa madre allora, in preda al dolore e all’isolamento, si è tolta tragicamente la vita. Il ministero del Lavoro ha indagato sul caso e ha promesso di monitorare e sradicare questo genere di mobbing.
Le giovani madri in cerca di lavoro spesso subiscono ingiustizie nel processo di selezione, perché avere figli piccoli può essere percepito come un ostacolo all’impegno professionale. Si tratta di maltrattamenti e ingiustizie che avvengono in modo sottile, perché la legge coreana non ammette discriminazioni basate sul genere.
Purtroppo, le sfide delle mamme lavoratrici rischiano di estendersi all’ambiente domestico. I mariti tendono a partecipare di meno alla cura dei figli e alle attività casalinghe. Al di là dei lunghi orari di lavoro degli uomini, la tradizionale ideologia di genere, che vede le donne come uniche responsabili della cura dei bambini e delle faccende domestiche, influenza la suddivisione del lavoro tra i giovani partner. Prima del matrimonio, la maggior parte delle donne afferma di non aver sperimentato disuguaglianze di genere in ambito scolastico e di dover affrontare minori ingiustizie sul lavoro rispetto al passato. Tuttavia, dopo il matrimonio, in molte si trovano ad affrontare il problema della disparità di genere rispetto alla suddivisione del lavoro domestico. Le ricerche ci dicono che le donne hanno maggiori probabilità di realizzare il desiderio di avere un primo o un secondo figlio quando i mariti partecipano al lavoro domestico. Pur confermando la correlazione tra fertilità e collaborazione degli uomini alla cura dei figli e alle faccende domestiche, resta evidente lo squilibrio tra una rapida crescita economica e alcune pratiche culturali obsolete.
(…) Tale squilibrio tra economia e cultura può essere spiegato con il concetto di “modernità compressa”. Questo caratterizza uno scenario in cui si verificano molto rapidamente profonde trasformazioni sociali, in particolare nell’economia o nella politica. Tali cambiamenti, dunque, sono fortemente condensati in un lasso di tempo breve e in uno spazio limitato.
(…) Lo squilibrio scoraggia i giovani adulti, in particolare le donne con un elevato livello di istruzione, nelle decisioni relative al matrimonio e/o ai figli, sebbene vivano in un Paese in apparenza economicamente avanzato e benestante.