Corriere della Sera, 22 maggio 2024
Inquieto, modernissimo Munch
I l pittore della disperazione umana, l’artista dalla visione quasi sempre allucinata, dove volti e paesaggi vengono puntualmente rappresentati (ma meglio sarebbe dire trasfigurati) «senza idillio», privi di quell’ottimismo che altrove, in Europa, contrassegnava la Belle Époque, il suo tempo...
Ed è quasi paradossale che l’opera di Edvard Munch (1863-1944) sia ancora oggi notissima a livello planetario per un quadro in particolare, L’urlo (milioni di persone se non miliardi ogni giorno ticchettano una emoticon che ne ricalca il profilo...), mentre l’intero cammino dell’artista norvegese, autore di capolavori universali, resta ancora in gran parte da scoprire.
Un’occasione per farlo sarà la mostra che aprirà il 14 settembre nelle sale del Palazzo Reale di Milano, per poi far tappa nella Capitale (dal 18 febbraio 2025), a Palazzo Bonaparte. Titolo della retrospettiva – i cui contenuti sono stati in parte anticipati ieri durante una presentazione nella residenza romana dell’ambasciatore di Norvegia in Italia, Johan Vibe – Munch. Il grido interiore.
L’urlo non ci sarà. O meglio sarà presente in mostra con una versione litografata del 1895. Ma il pubblico potrà ammirare un centinaio di lavori di Munch, di cui circa settanta oli, che ne descrivono l’intero cammino dagli esordi agli ultimi anni di produzione. Tutte le opere – quadri, ma anche disegni, stampe, taccuini, fotografie e riprese video (filmini amatoriali girati dallo stesso artista) – provengono dal Museo Munch di Oslo, unico prestatore e partner di questa esposizione promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia. A curare la selezione Patricia G. Berman, storica dell’arte statunitense tra i maggiori studiosi dell’artista, che ieri in videocollegamento ha detto che la doppia esposizione milanese e romana sarà assai diversa dalle precedenti, a partire proprio da un focus sul rapporto tra Munch e l’Italia, paese dove l’artista viaggiò a lungo (tra i lavori esposti un Ponte di Rialto del 1926, una copia dell’Autoritratto di Raffello degli Uffizi, 1877, e un disegno con la tomba dello zio di Edvard, Petrus Andreas Munch, storico norvegese sepolto nel cimitero acattolico di Testaccio).
Dieci le sezioni principali in cui verrà suddiviso il percorso espositivo, per lo più a carattere tematico. L’ultima è dedicata agli «Autoritratti», motivo ricorrente nella produzione del norvegese, così come lo era stato per il suo ideale «cugino», Vincent van Gogh, anche con lui, con Munch, tra i principali ispiratori dell’Espressionismo europeo.
L’elaborazione ripetutamente ossessiva degli stessi motivi è uno dei nodi fondamentali del lavoro dell’artista, come testimoniato anche dal quadro Le ragazze sul ponte, di cui a Milano si vedrà una versione – scelta come immagine-simbolo della mostra – del 1927.
Il viaggio pittorico nell’inquietudine della condizione umana; il ruolo, cruciale, di Munch nella modernità artistica (le sue radici affondano nel XIX secolo ma la quintessenza della sua opera appartiene appieno allo spirito di quello successivo); la dimensione simbolista che travalica il naturalismo («Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto», uno dei suo aforismi celebri) sono tutti temi affrontati in un percorso che grazie agli apparati, e non solo tramite le opere (tra le altre: Malinconia, 1900-1901, e Notte stellata, 1922-24), ricostruisce la vita di Munch, segnata da dolori che lo portarono ai limiti della follia: la perdita prematura della madre e della sorella più amata, la morte del padre, la tormentatissima relazione con la fidanzata Tullia Larsen la cui inconfondibile sagoma dai capelli rossi torna più volte in una sezione a sé. Un’esistenza difficile funestata anche dall’alcolismo e da diverse crisi psicologiche, fino al ricovero in diverse case di cura tra il 1908 e il 1909.