Corriere della Sera, 22 maggio 2024
Intervista a Claudio Cecchetto
Girare con Sandy Marton sarà stato un happening.
«Veniva alle feste di Radio Deejay. Alto, bello, biondo, per l’unica volta nella vita ho messo in discussione la mia virilità. Ma era solo l’ammirazione di un esteta, siamo diventati amici. Lo portai alla festa di compleanno di una ragazza, ad Avellino. “Fingi di essere uno della mia gang”. Le invitate urlavano il mio nome. Lo chiamai in consolle. “Vi presento Sandy”. “Ooohh”. Un attimo dopo mi avevano già dimenticato».
Claudio Cecchetto, 72 anni, talent scout, dj, produttore, conduttore radio e tv e ambassador della Romagna (dal 5 al 7 luglio si balla ovunque con la Weekend Dance).
Beh.
«Tornati a Milano, lo convocai in ufficio. “Vedo che hai un certo appeal, incidiamo un disco. Canti?” “Non lo so”. “Suoni?” “Da piccolo, il pianoforte”. “Bene, sei perfetto”. Mi parlava sempre di Ibiza, non sapevo manco dov’era. “Scrivici una canzone”».
Con lui si rimorchiava.
«Quando eravamo in un locale, le ragazze guardavano sempre verso di noi. Ogni tanto mi spostavo, per vedere se gli sguardi seguivano me. Niente, gli occhi restavano puntati lì. Però dai, tanto schifo non facevo, me la cavavo».
I capelli lunghi avevano un loro perché.
«Da ragazzino andavano di moda i capelloni, invece papà mi obbligava a tagliarli. Mi dava 800 lire, ne spendevo 400 e tenevo il resto. Il barbiere lo chiamavano Mano Gialla, come il capo indiano, perché ti faceva lo scalpo. A un certo punto non ci sono più andato. I capelli sono cresciuti ed è cambiato tutto, improvvisamente piacevo anch’io. Ho sempre avuto la paranoia di perderli, a 23 anni mi prese il terrore di diventare pelato, ho fatto cure che non servivano».
Stonatissimo.
«Fino ai 13 ero il cocco della maestra di canto, poi di colpo mi cambiò la voce. Ero contentissimo di sembrare più uomo, lei invece piangeva, ero diventato un cagnaccio».
Non pareva un buon segno per la futura carriera.
«Invece mi ha portato bene. I miei amici dj incidevano dischi, io non potevo, però questo mi ha fatto venire l’idea del Gioca jouer e direi che è andata meglio a me».
La 500 blu per il diploma.
«Volevo una Fulvia HF usata ma papà si oppose: “Troppo sportiva. La prima notte restai sveglio a controllare dal balcone che non me la rubassero. Costò 595 mila lire, 300 euro. Una volta mi imboscai con una ragazza, per non mettere i giornali sui vetri mi infilai in una radura, tra i cespugli. I rametti graffiarono tutta la carrozzeria, era zigrinata».
Studiò Scienza delle preparazioni alimentari.
«A casa osservavo i cibi al microscopio. “Quando l’avete comprata la bistecca? Sicuri che non è stata ricongelata?” Mamma sbuffava: “Sei diventato un gran rompiscatole”».
La presero in Rai per «Discoring», 5 mesi dopo era a Sanremo 1980.
«Gianni Ravera mi fa: “Ti va di presentare il Festival?”. “Come no. Però mi tolga una curiosità: perché ha scelto me?”. “Perché parli veloce, così mi ci entra un cantante in più”».
Sanremo 1981: «One-two three/Dormire/Salutare/ Autostop/ Starnuto...»
«È stato il primo rap italiano. Mi fermavano per strada: “Sì, ma io preferisco i Led Zeppelin”. “Embé? Pure io”. In Italia, dopo l’inno di Mameli, c’è il Gioca jouer. Scherzo eh».
Dopo Sandy, Sabrina Salerno.
«Era seduta davanti alla mia scrivania. “La ragazza vorrebbe fare la cantante”, mi spiegò l’agente. Un attimo dopo attaccò a cantare, sfrontata e decisa, come fosse la più brava al mondo».
Bomba sexy.
«Quando girammo il video di Boys, in piscina, con la maglietta bagnata, gli operatori si incantavano. “Ehi tu, guarda in macchina per favore!”».
Non è che pure lei si prese una mezza cotta?
Cecchetto sorride. Silenzio. «Beh... ecco... insomma». Si tocca i capelli. «Per un piccolo periodo ci siamo compresi... Ci vogliamo ancora bene».
Jovanotti.
«Il mio collaboratore mi disse: “È una pertica che non vale nulla”. Ma quando vidi la registrazione feci un salto. Lo chiamai con voce da boss: “È l’occasione della vita, vieni con me”. Bluffavo. Ma lui, intimorito, accettò».
Non vi siete mai persi.
«Lo sento spesso, è il padrino di mio figlio Jody, si vogliono un casino di bene».
Fiorello.
«Arrivò a Radio Deejay perché gli avevano detto che c’erano tante ragazze, mica per me. Andammo a cena, fu il mattatore. Gli dissi: “Licenziati e lavora con noi, fai l’animatore di un villaggio, diventerai quello dell’ltalia».
Celebri i suoi cazziatoni.
«Solo leggenda. Mi arrabbiavo se le cose non venivano fatte bene. Fabio Volo dopo mi ringraziava e io me la prendevo ancora di più. Era solo per spronarli, mai per umiliarli. Li trattavo da subito come star».
Pieraccioni.
«Il primo comico che nella vita non era triste. “Sono un cazzone”. Mi raccontò che da piccolo, in mare, recitava da solo fingendo di essere in tv. Me lo presentò Carlo Conti, generoso: invece di proporsi, mi segnalò l’amico».
Amadeus il pendolare.
«Il nome lo presi dalla canzone di Falco, Amedeo non funzionava. Non voleva, poi si è arreso, ormai lo chiama così pure sua madre. Gli diedi appuntamento in hotel, dopo le prove del Festivalbar. Tornai dopo ore e lo trovai ad aspettarmi con il sorriso. “Eccomi, sono qua”. Mi raccontò di aver affittato casa a Milano, invece ogni mattina prendeva il treno delle 5 da Verona».
Poveraccio.
«Beh, mi sembra che l’ho premiato».
Ha mollato la Rai.
«Ha scelto la libertà, ci sta, magari è un rischio, ma dopo cinque Sanremo forse aveva voglia di cambiare».
Fiore è in vacanza dalla tv.
«È il più libero di tutti, talmente bravo che fa quello che vuole, non bada alla convenienza, se lo può permettere».
Francesco Facchinetti.
«Dicevano di lui: “È il nuovo Jovanotti, il nuovo Amadeus, il nuovo Fiorello”. Sbagliato, lui è il nuovo me, ha l’indole del talent scout».
Max Pezzali.
«Preferisco parlare di Mauro Repetto, i testi esagerati degli 883 li scriveva lui, l’altro cantava. Gli consigliai di ballare sul palco “così attiri l’attenzione del pubblico”. Era fondamentale».
Con Max ha chiuso.
«La gratitudine per lui è un optional. Di tutti i miei è stato il più irriconoscente, in questo almeno è il numero 1».
Niente pace in vista.
«Mah, io non ho fatto nessuna guerra, mi sono difeso. La riconoscenza è sintomo di intelligenza. Non bisogna avere paura di ammettere che il tuo successo è dipeso da un altro, vieni apprezzato di più».
Mai preso cantonate?
«Sì, però me ne accorgo in tempo e non spreco energie».
Avrebbe voluto essere lei il talento?
«No. Come un allenatore, gioco in attacco, in porta e in difesa e sono felice se il mio bomber segna».
L’ultima volta che si è commosso?
«Alla festa per i miei 60 anni. Credevo di andare in pizzeria con moglie e figli, ci ho trovato Jovanotti, Fiorello e Gerry Scotti, per la prima volta sono rimasto senza parole».
La coltellata ricevuta.
«Ce n’è una serie, preferisco non pensarci, fanno male. Ma poi mi ricordo che vengo da Ceggia, un paesino, e ho avuto più di quanto avrei mai creduto. Come dice Lorenzo, sono un ragazzo fortunato».