la Repubblica, 22 maggio 2024
L’ultimo affare del “furbetto” Fiorani
MILANO – Una famiglia semplice, del Dopoguerra italiano. Marito, moglie e due figli. Dal Levante ligure, con poche parole e tanto lavoro, il capofamiglia Gabriele conquista la logistica marittima nigeriana, arrivando a gestire tutti i materiali per l’attività petrolifera nei e dai porti del Paese. Crea un impero da 4 miliardi di dollari, e vi fa crescere i due eredi Matteo e Simone, ben avviati a rilevarlo dopo 25 anni di lavoro in Africa.
Qui entra in scena Gianpiero Fiorani, il fu banchiere aggressivo che da un’altra provincia – la Bassa lombarda – orchestrò i “furbetti del quartierino”, nel tentato assalto ai salotti buoni della finanza italiana di vent’anni fa. Finirono quasi tutti indagati, condannati, squalificati: lui anche in carcere per sei mesi. Tuttavia, come disse lo stesso Fiorani a Il Secolo XIX nel 2016, «la mia storia per certi versi può essere un vincolo o un’opportunità. Evidentemente un imprenditore come Volpi considera l’esperienza che ho maturato un’opportunità». Così la vita, omeglio Gabriele Volpi, re delle banchine nigeriane, offre la seconda chance all’uomo che mandava un bacio in fronte ad Antonio Fazio, governatore di Bankitalia. E lui, scaltro come ai tempi in cui la Banca popolare di Lodi scalava l’olimpo creditizio, la coglie al volo ponendosi come una plastica tra l’imprenditore e la sua famiglia: fino a disgregarla, smantellando i tre trust – Winter, Summer e Spring, avviati da Volpi con beneficiari moglie e figli – per trasferire tutto alla 3M, società maltese che (occhio alle iniziali) fa capo ai tre figli Marta, Matteo e Marco Fiorani.
Da quel 2016 i Fiorani, sfruttando al meglio un piano concordato con Volpi per ristrutturare la capogruppo Intels mentre il prezzo del greggio crollava, dai loro uffici diLugano si sono avocati la gestione dell’intero gruppo, che in Nigeria ha ridotto i ricavi a un quarto da allora, mentre le diversificazioni nella ristorazione tricolore fanno incetta di fallimenti. Tutto sotto gli occhi ineffabili dei gestori svizzeri dei trust di Volpi, mentre l’azienda familiare di successo diventava una Succession all’italiana.
Si fatica a crederci, se Repubblica non avesse raccolto chili di carte e atti che la provano. Ma la vicenda, dopo sei anni di contese legali nei fori più esotici del mondo, volge al termine: il 21 marzo scorso la Corte suprema delle Bahamas ha emesso l’ultima sentenza a favore di Matteo Volpi, primogenito di Gabriele che dal 2018 ha avviato una causa contro il padre e contro Delanson, gestore dei trust. Tempo qualche mese e la seconda fase dell’arbitrato, appena concluso nel merito, stabilirà il “quantum” che Gabriele Volpi e Fiorani, ormai la sua ombra e vero capoazienda anche se non figura nell’organigramma, dovranno restituireai legittimi eredi, ripristinando i trust familiari.
Tutto sarebbe meno arcano sapendo quel che passa in testa al patron: che però da anni vive segregato, tra Montecarlo e lo yacht Solinda da 50 metri lì ormeggiato, e ha rotto tutti i rapporti con il suo mondo. Ma parlano le carte, e i racconti di chi lo ha conosciuto dalla gioventù, quando orfano di madre fu allevato dal coach della Pallanuoto Recco sviluppando l’attaccamento per la squadra che dagli anni ‘90 comprerà e da allora è lapiù forte d’Europa. Uomo laconico e spiccio come molti in Riviera, in vasca incontra anche Giannangelo Perrucci, la cui compagnia di navigazione Medafrica nel 1975 lo porta a lavorare in Nigeria. Nel 1982 l’azienda dell’amico fallisce e Volpi fonda Nicotes, servizi logistici all’industria petrolifera. Sono anni di grandi lavori nel Paese, partito a razzo sulla traiettoria che oggi lo vede tra i leader d’Africa. Volpi riesce ad “agganciarsi” ai colossi petroliferi, specie gli italiani Eni, Saipem e Tenaris, che negli idrocarburi nigeriani sono leader, ne accompagna l’esplorazione dai pozzi a terra verso quelli sottomarini. Sempre più al largo, con navi dal pescaggio sempre più profondo. La sua holding Orlean riesce ad attrezzare banchine adeguate, ne diventa monopolista e dal 2000 vince l’appalto di 50 anni dei porti di Onne, Warri e Lagos. Un mestiere dove è facile guadagnare bene: basta trovare il personale che manovri camion e gru a costi inferiori ai canoni d’affitto. Poi ci sono i servizi aggiuntivi, mense, dormitori e magazzini dove le major tengono tubi e materiali. Tanta grazia, forse, distrae Volpi. Che inizia a diversificare relazioni e investimenti. E trova sulla sua strada il “ragioniere di Codogno”, carattere della commedia dell’arte finanziaria che oggi s’è perso nelle cronache, ma ne fu assoluto protagonista, piazzando una decina di scalate a banche minori, riuscite grazie alla compiacenza di sodali disinvolti e della vigilanza, che vedeva nella sua Popolare di Lodi “un polo aggregante”.
Le indagini a tappeto di Bancopoli lo travolsero, Fiorani uscì patteggiando, a metà 2008, 3 anni e 3 mesi per associazione a delinquere, truffa, appropriazione indebita; poi nell’ottobre 2015 risarcì la banca lodigiana, ingolfata da cattivi crediti e contenziosi, con 34 milioni attinti a un suo fondo di Singapore, 7 dei quali per pagare tasse in Svizzera. Volpi, nel 2000, aveva già cercato il Fiorani banchiere per parlare di investimenti, senza avere riscontro. Ma nell’occasione aveva legato con Francesco Cuzzocrea, suo collaboratore a Lodi poi divenuto consulente di Volpi tramite Albion Finance, un family office che poi ha avviato i trust della famiglia ligure con il notaio ticinese Jean Pierre Baggi. Verso il 2010, dopo la parentesi giudiziaria, Fiorani ritrova Volpi a Porto Cervo e mostra tutt’altro interesse ai suoi affari. Ne diviene consigliere, dapprima per le diversificazioni italiane (i “giochini” dell’imprenditore tra ristoranti, negozi storici, squadre di calcio come lo Spezia, il Rijeka croato, l’Arzachena) e per creare castelli fiscali. Da cui nel maggio 2018 verrà l’inchiesta a carico dei due per autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni, per l’ipotesi di aver fatto rientrare in Italia denari frutto di evasione.