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 2024  maggio 22 Mercoledì calendario

Intervista a Giovanni Melillo

«Lavoriamo per aprire ed estendere le strade della cooperazione internazionale.
Dobbiamo proiettare sistematicamente le nostre indagini all’estero, condividere progetti investigativi ambiziosi e moltiplicare le squadre comuni, soprattutto per ricostruire i flussi finanziari a monte e a valle dei traffici. C’è bisogno di sviluppare le nostre conoscenze delle organizzazioni criminali che governano il narcotraffico e di cogliere i loro legami con i fenomeni di corruzione e di finanziamento del terrorismo su scala globale. Serve un deciso cambio di passo, strategie di lungo respiro, abbandonando le asfittiche logiche di indagini finalizzate solo ai sequestri di carichi di droga, che per i narcos sono un costo già preventivato e talvolta persino sotterraneamente negoziato».
L’incontro di studio e coordinamento sul narcotraffico in onore di Falcone che avete voluto a Palermo punta a rafforzare la cooperazione internazionale ?
«Nelle indagini sui fenomeni criminali transnazionali si pone ogni giorno l’esigenza di scambiare esperienze e conoscenze con i magistrati di altri Stati e di lavorare in modo coordinato con loro. Gli incontri di studio e di coordinamento di Palermo servono a questo, ma anche a ricordare che per i magistrati il modo migliore per ricordare e onorare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è approfondire la conoscenza dei fenomeni criminali più complessi».
Quali sono le vie dei grandi traffici di droga che arrivano nel nostro Paese?
«Le rotte fondamentali, per la cocaina, partono da Brasile, Paraguay e Ecuador, dove infrastrutture portuali sono nelle mani dei narcos, per giungere nei porti del Nord Europa e del Mediterraneo. Ma importante è anche la rotta che dal Golfo di Guinea risale verso l’Europa, attraverso l’Africa Occidentale e il Sahel dove finanzia l’espansione delle reti jihadiste e i processi di destabilizzazione politica e sociale di quelle regioni».
Il presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa Azin, in visita la scorsa settimana in Italia, è venuto a incontrarla alla Procura nazionale. Cosa lega il nostro Paese all’Ecuador?
«La visita dimostra quanto sia alto l’allarme nei Paesi che rischiano di essere travolti dalla violenza e dalla potenza corruttiva dei narcos. Non dimentichiamo che uno dei candidati alle elezioni presidenziali, il coraggiosogiornalista Fernando Villavicencio, è stato assassinato in Ecuador dai narcos. Così come il magistrato Cesar Suarez e il paraguaiano Marcelo Pecci, ucciso due anni fa in Colombia: li ricorderemo a Palermo».
La violenza del crimine organizzato in America Latina non conosce limiti, c’è una connessione con i clan italiani?
«Le reti criminali brasiliane, venezuelane, messicane e colombiane, controllando non solo i traffici di droga, ma anche quelli di migranti, armi e metalli rari, sono potenti fattori di destabilizzazione di intere regioni, oltre che naturali alleati dei gruppi mafiosi calabresi e albanesi che hanno da tempo in quei Paesi stabili ramificazioni, anche a fini di riciclaggio. Non sono un caso gli arresti di importanti uomini di ‘ndrangheta avvenuti recentemente in Brasile e Perù.
Così come appare radicata quantotrascurata la presenza in America latina di autentiche colonie mafiose albanesi».
Gli albanesi hanno un ruolo importante nel narcotraffico, ma in Italia con chi sono alleati?
«C’è un grave ritardo nel cogliere la pericolosità delle reti mafiose albanesi, delle loro dinamiche interne e della potente rete corruttiva che le circonda nella regione balcanica. È come se nei confronti di queste organizzazioni le indagini avessero a lungo dimenticato la lezione più profonda di Falcone, sull’importanza dello sforzo paziente per mettere in relazione vicende apparentemente non collegate fra loro. Tutto dimostra come quelle organizzazioni che hanno conquistato una stabile leadership nel mercato mondiale degli stupefacenti e del riciclaggio, siano, anche in Italia, tutt’altro che subalterne alle mafie tradizionali».
Le reti mafiose come stanno sfruttando le nuove tecnologie?
«Spazio virtuale e relative tecnologie sono fondamentali per mafie e terrorismo. Al loro impiego sono destinate grandi risorse e intere strutture delle reti criminali, che ormai selezionano le stesse figure di vertice in base alla capacità di governare le nuove tecnologie. Le indagini risentono grandemente del gap negativo rispetto alle risorse disponibili».
La normativa italiana permette di contrastare l’uso della tecnologia da parte dei criminali?
«Più che sul piano normativo, quel divario si rivela considerandol’arretratezza tecnologica tanto dei servizi di polizia giudiziaria che dell’amministrazione della giustizia. Per fortuna, esistono nuclei di eccellenza dei servizi di polizia giudiziaria specializzati. E sono importanti le norme introdotte lo scorso anno in tema di operazioni sotto copertura nei sistemi informatici usati a fini di terrorismo e di minaccia della sicurezza cibernetica. Ancor più importanti appaiono le norme del disegno di legge governativo suicyber crimes appena approvate con spirito bipartisan dalla Camera e delle quali urge il varo definitivo.
Ma le norme non bastano: occorre immettere nel sistema dosi massicce di competenze e moderne infrastrutture digitali».
Il potere economico dei clan viene utilizzato per corrompere?
«La corruzione è, forse da sempre, lo strumento privilegiato delle organizzazioni mafiose. La violenza può abbattere un ostacolo, ma solo la corruzione sa trasformare i potenziali nemici in alleati preziosi, con l’ulteriore vantaggio di essere silenziosa. Non si tratta di “reati spia” di eventuali presenze mafiose nell’economia e negli affari, ma di reati da sempre tipicamente mafiosi. Per averne conferma, basta rileggere l’articolo 416bis, che da oltre 40 anni descrive le mafie come organizzazioni volte a controllare, anche silenziosamente, i mercati d’impresa, a partire da quelli che ruotano attorno a appalti, concessioni e autorizzazioni delle pubbliche amministrazioni».
Il narcotraffico finanzia il terrorismo?
«Si tratta di connessioni profonde e visibili su larga scala. Nell’Africa occidentale segnata da conflitti eputsch militari, come in Siria, dove impianti chimici sono diventati centri di produzione di droghe sintetiche, come nell’America latina, dove non mancano, lungo la tripla frontera che separa Brasile, Paraguay e Argentina, segnali della presenza di organizzazioni come Hamas e Hezbollah interessate a sfruttare quei traffici a scopi di finanziamento».
Dal 7 ottobre tutto il sistema della sicurezza a livello nazionale è al massimo livello di mobilitazione, sia sul piano della prevenzione sia su quello del presidio di obiettivi sensibili, c’è un pericolo terrorismo in Italia?
«Il Paese può contare su una sperimentata capacità di prevenzione e controllo del rischio terrorismo, ma, naturalmente, non esistono al mondo argini sicuri rispetto al rischio di azioni violente, che certo dopo il 7 ottobre si è acuito anche in Italia, divenendo il conflitto in Medio Oriente un fattore di acceleratore di eterogenee dinamiche terroristiche, oltre che un propellente di pericolose campagne d’odio e di forme sempre più gravi di antisemitismo».f
I sequestri di droga non bastano, serve cooperazione internazionale per ottenere un cambio di passo nelle indagini Le reti criminali usano tecnologie più avanzate delle nostre Un errore sottovalutare i clan albanesi
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