il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2024
Graceland, finisce in tribunale il tempio di Presley (e del rock)
Una contromossa sul filo delle ore per scongiurare la presa della reggia. Riley Keough, nipote e unica erede di Elvis, sarà oggi in udienza nel tribunale civile del Tennessee per dimostrare che i presunti creditori di sua madre Lisa Marie sono degli impostori: se il giudice dovesse darle torto, per domani è fissata l’asta di pignoramento di Graceland, la residenza dei Presley, Monumento Storico Nazionale Usa. Riley sostiene che il debito contratto nel 2018 da Lisa Marie (scomparsa lo scorso anno) nei confronti del fondo Nassauny sia basato su una frode: false le firme della donna sulle carte di accettazione di un prestito da 3,8 milioni di dollari in cambio dell’ipoteca su Graceland. Di più: quelli della Nassauny non sarebbero solo squali finanziari, ma possibili prestanome di affari torbidi. Come sia, nel giro di 24 ore l’America potrebbe subire uno choc culturale senza precedenti: la villa è la seconda più visitata al mondo dopo la Casa Bianca, ma a Memphis ci viveva il Re, non un presidente di passaggio. Grace era la figlia del proprietario originario, il fattore-editore S.C.Toof: Elvis l’aveva rilevata nel 1957 per poco più di 100 mila dollari. Tra strutture immobiliari, pertinenze e terreni, vale ora almeno 500 milioni. Ogni anno rendono omaggio alla memoria di Presley (la tomba di famiglia è lì, nel Meditation Garden) almeno 800 mila visitatori paganti. Uno, senza biglietto, fu nel 1976 Bruce Springsteen. Era già famoso per le copertine di Time e Newsweek: una notte, durante il tour di Born to Run, scavalcò il muro di cinta per incontrare il suo idolo. I vigilanti non lo riconobbero, rischiò di finire impallinato. Lì, al 3734 di Elvis Presley Boulevard, tra souvenir e nostalgia, è una processione incessante di devoti, un giro d’affari turistico sensazionale. Se ogni tanto c’è da vendere qualcosa, ci si limita a mettere all’incanto dei “memorabilia”: una Harley o un aereo della rockstar, una chitarra, il suo certificato di nascita, la vecchia American Express, il flacone delle pillole. Perfino, volendo, la reliquia del frammento di un accappatoio indossato da Elvis dopo un live. La rendita, a maggior ragione dopo il successo del film di Baz Luhrmann girato proprio a Graceland, non vale meno di un miliardo di dollari: è il tesoro del sovrano, alimentato anche dai diritti discografici. Eppure, il rischio che la leggendaria casa coloniale passi di mano è concreto: certo, dovessero spuntarla, gli speculatori della Nassauny Investment non ne stravolgerebbero la destinazione d’uso. A occhio, Graceland non sarà trasformata in un resort o in un mall.
Ma come aveva fatto Lisa Marie, prima della prematura morte a 54 anni, a dissipare un’eredità a nove zeri? L’ex moglie di Michael Jackson (anche qui spunta una residenza mitologica, seppur pop e non rock, come Neverland) accusava i suoi collaboratori di averle fatto sparire il denaro da sotto il naso, anche attraverso la cessione dell’85 per cento della Elvis Presley Enterprises: al momento del decesso, Lisa Marie era in rosso di 17 milioni. Plausibile che avesse intrapreso operazioni disperate per rientrare di un pugno di dollari. Ora spetta alla figlia maggiore, l’attrice Riley (avuta dal chitarrista Danny Keough), convincere la corte che non ci sia la firma della madre sopra un prestito di 3,8 milioni mai intascato. Altrimenti domani il banditore batterà tre volte con il martelletto sull’offerta migliore nella pubblica asta su Graceland. Sarebbe uno smacco ignominioso, un lutto impossibile da elaborare per gli irriducibili che, sin dal viale che porta ai cancelli del Re, comprano le magliette “Elvis is alive”. Non si sono mai davvero convinti che il 16 agosto 1977, mentre leggeva un libro sulla “Vera storia di Gesù” seduto sul wc, Presley sia stato stroncato da un attacco cardiaco nel bagno personale, tra le poche stanze non visitabili del mausoleo rock. Cantato pure dall’aedo Paul Simon, che ci andò per ritrovare se stesso dopo il divorzio da Carrie Fisher. La intravide, Graceland, nel miraggio del “Delta del Mississippi che splende come una chitarra National”, tra i bagliori di un sogno condiviso.