Corriere della Sera, 21 maggio 2024
Il ritorno dell’Arabia
Che si tratti dell’intelligenza artificiale o della mega città avveniristica Neom, alcuni progetti della Vision 2030 del principe saudita Mohammed bin Salman (MbS) potrebbero deludere, costare troppo, incappare in incidenti di percorso, o addirittura schiantarsi in fallimenti clamorosi. È il rischio di impresa, e MbS per certi versi si comporta come un modernissimo imprenditore. Al tempo stesso è un visionario che trae legittimità da una memoria storica; il suo nuovo impero arabo potrebbe essere risucchiato verso il passato.
Prima di enumerare i limiti di questo esperimento, e ricordare ciò che potrebbe andare storto, voglio partire dal suo aspetto più positivo. È lo strappo che questo principe illuminato rappresenta rispetto alla cultura del vittimismo, di cui tanta parte del mondo arabo è prigioniera dagli anni Sessanta.
Mentre in Estremo Oriente decollavano uno dopo l’altro i miracoli di tanti «dragoni» asiatici – che non erano solo dei boom economici bensì progressi estesi all’istruzione, alla tecnologia, all’ordine pubblico e alla sicurezza – in Nordafrica e in Medio Oriente le aspirazioni dei popoli erano frustrate. Scattò tra i leader la ricerca di un capro espiatorio e fu trovato nell’Occidente: era tutta colpa del colonialismo più recente (peraltro assai più breve rispetto al dominio ottomano).
Il vittimismo arabo dilagava, si imponeva come dottrina ufficiale e al contempo contaminava le masse con un senso diffuso di recriminazione, rancore, de-responsabilizzazione. Alla colpevolizzazione degli occidentali si aggiunse quella di Israele. Fino agli anni Sessanta e Settanta, anche Israele aveva seguito modelli socialisti, basti pensare ai kibbutz. Il vero boom – economico e tecnologico – si verifica quando Israele abbraccia una ricetta capitalistica, a partire dagli anni Ottanta: diventa una piccola superpotenza, con livelli scientifici e di benessere che lo distanziano sempre più dai suoi vicini. Quel successo attira su di sé l’invidia generale dei vicini falliti. Sempre all’insegna del vittimismo e dello «scaricabarile», gran parte del mondo arabo si autoconvince che la ricchezza di Israele può avere una sola spiegazione: è costruita sullo sfruttamento e sull’oppressione dei palestinesi. È un falso clamoroso, eppure diventa un luogo comune così tenace da radicarsi nel tempo come dottrina ufficiale anche nei campus universitari dell’Occidente. Anziché studiare nei dettagli il progresso di Israele per emularne le ricette vincenti (cosa che, per esempio, in Estremo Oriente la Cina ha fatto copiando i miracoli di Giappone, Singapore, Taiwan, Corea del Sud), la maggior parte dei dirigenti arabi hanno investito sull’antisemitismo come collante ideologico per nascondere le proprie incapacità e malefatte.
Ecco: il Kingdom of Saudi Arabia (Ksa) di MbS – preceduto dai laboratori di Dubai e del Qatar – rappresenta una formidabile rottura con tutto ciò. Il principe ha dismesso la cultura dell’invidia: Israele lo attira per quello che è riuscito a fare, per la valorizzazione dei talenti innovativi, per lo spirito imprenditoriale. MbS rinuncia alla grottesca caricatura che descrive il successo israeliano come una rapina dei poveri vicini. Il moralismo in voga in alcuni ambienti italiani reagisce con riflessi automatici, tanto conformisti quanto inintelligenti: così come la parola «saudita» fa scattare l’orrore obbligatorio per i «cattivi petrolieri», allo stesso modo l’avvicinamento degli anni scorsi tra Arabia e Israele è stato disprezzato come «bieco affarismo». Ben venga l’affarismo se è l’alternativa alla guerra. Fossero stati degli affaristi i leader di Hamas, con i fiumi di miliardi ricevuti per anni avrebbero trasformato Gaza in una piccola Dubai.
Il rischio
Alcuni gruppi di potere danneggiati potrebbero coalizzarsi contro bin Salman
Se l’esperimento saudita andrà avanti lungo questa strada, sarà una novità fantastica che a lungo termine potrebbe avere ripercussioni mondiali. La cultura del vittimismo e del rancore ha generato odio per l’Occidente, un odio che a sua volta ha contributo alla diffusione del jihadismo islamico, della violenza. La spirale del fanatismo ha continuato a mantenere nell’ignoranza retrograda e reazionaria una parte rilevante del mondo musulmano, e questo veleno si è infiltrato in tante comunità di immigrati islamici che odiano l’Occidente nonostante vi siano stati accolti a braccia aperte, e con molti più diritti di quanti ne avevano a casa loro.
La rinuncia al vittimismo da parte di MbS è una delle ragioni fondamentali per cui noi occidentali dobbiamo sperare che lui ce la faccia. L’altra ragione è che ha finalmente chiuso i rubinetti dei petrodollari che finanziavano madrasse fondamentaliste nel mondo intero, Europa inclusa. L’Arabia della Vision 2030 sta muovendo i primi passi per conquistarsi un soft power, o egemonia culturale di tipo diverso, non più fondata sul fanatismo religioso e sull’intolleranza. Nei nuovi equilibri della geopolitica mondiale, il Kingdom of Saudi Arabia è uno dei protagonisti del Grande Sud globale perché, per esempio, investe nelle energie rinnovabili anche in Africa. Se la sfida di MbS sarà vincente, le comunità di immigrati musulmani di seconda e terza generazione in Italia o in Francia, in Germania o in Svezia, avranno finalmente un modello alternativo rispetto alla cultura della recriminazione, alla perenne ricerca di vendette e risarcimenti per i presunti danni subiti dall’Occidente.
Probabilmente non è un caso che a proporre una narrazione diversa, post-vittimista, sia l’unico grande Paese del mondo arabo a non essere mai stato una colonia dell’Occidente: il Ksa, prima di nascere nella sua versione contemporanea, era stato dominato dall’impero ottomano, mentre con inglesi e americani aveva negoziato alleanze e protezioni per liberarsi dai turchi.
Cosa potrebbe andare storto? Per consolidare il suo potere e lanciare il Ksa a gran velocità verso il futuro, MbS ha stravolto equilibri antichi e ha calpestato regole sacre, o presunte tali.
Nel corso del mio viaggio in Arabia, l’impressione che ho avuto è che il principe goda di un consenso elevato, è indubbio, ma questa è una fotografia della situazione nel 2024 e non garantisce che tale consenso sopravviva in futuro se alcuni suoi progetti affondano. Oppure che a un certo punto alcune constituency danneggiate dalle azioni di MbS non si coalizzino per rovesciarlo. Più ancora dell’orrore suscitato dal feroce assassinio del giornalista Khashoggi, che rimane come una macchia incancellabile nell’immagine internazionale di MbS, all’interno del Paese pesa il «sequestro di parenti e miliardari» all’hotel Ritz-Carlton di Riad: da un lato ha terrorizzato i suoi potenziali rivali, dall’altro può avere seminato i germi di vendette future.