il Giornale, 21 maggio 2024
Mondadori scrive il futuro La macchina diventa (quasi) come Dumas
Il numero sette di via Porro Lambertenghi è una sorpresa. È qui che a Milano comincia il quartiere Isola, a Nord di Porta Garibaldi, lì dove un tempo c’era la vecchia strada Comasina e adesso scorre Corso Como. Un paio di chilometri più in là c’è lo Scalo Farini e una periferia che si comincia a sentire centro. In via Porro Lambertenghi, dove la metamorfosi è già evidente, ci sono lavori in corso: ponti, facciate, portoni da restaurare, saracinesche che lasciano il posto alle vetrine. C’è il senso di un futuro che sta arrivando e di cui nessuno conosce in realtà i confini precisi. C’è perfino un po’ di fatalismo: vediamo quello che accade. Non serve incrociare le dita, ma stare pronti e se possibile anticipare gli eventi. La scommessa è guadagnare un turno di gioco, perché chi resta dietro rischia di farsi male. È il destino di costruttore di carrozze a cavallo che non ha visto arrivare l’automobile.
È qui al numero sette che il colosso italiano dell’editoria apre uno spazio, fisico e mentale, per accogliere quello che verrà. Mondadori lo ha battezzato «Plai» e per raccontarlo serve un po’ di immaginazione. I comunicati stampa lo definiscono un «acceleratore di startup». Se si descrive a braccio bisogna vedere oltre le parole. Plai è un progetto che chiama a raccolta chi ha idee innovative su come fare impresa con l’intelligenza artificiale. Non è qualcosa di astratto e in qualche modo è già successo. È la scommessa che hanno fatto alla fine del Settecento i signori del tessile con l’arrivo del telaio meccanico, con la rivoluzione industriale del power loom. Non fu un’azione individuale, ma un contagio che andava da distretto in distretto, con azzardi e idee spiazzanti. Mondadori non può restare ferma. Si aspetta che giovani imprenditori con idee non scontate si mettano in gioco. Il primo punto fondamentale è l’incontro, lo scambio. Il secondo è la scelta. Non tutti possono essere finanziati. Ogni anno però verranno scelte dieci start up e ognuna di loro verrà sostenuta con 100mila euro, in cambio di una quota di minoranza. L’impegno finanziario sarà di sei milioni di euro in tre anni. La speranza è che due o tre di queste imprese visionarie diventino reali. Non c’è la ricerca ossessiva dell’unicorno, la grande idea che stravolge il mercato. È più un tentativo di investire su una borghesia delle idee.
Mondadori non è sola in questa storia. C’è una compagnia di aziende che mette sul campo la propria esperienza. Sono sette più uno. Startupbootcamp è il primo acceleratore di startup in Europa. Il Politecnico di Torino ci mette la sapienza tecnologica. Amazon Web Services offre la «nuvola», il cloud, e di fatto le informazioni per l’apprendimento della macchina. PwC i dati sul mercato dell’editoria. GroupM i segreti del marketing. Datapizza supporterà la community. Multiversity, con la sua Pegaso, la forza delle università on line e anni e anni di esperienza nella formazione umana. Pegaso offrirà ai suoi studenti, sotto la guida di un docente, un tutor personalizzato. C’è la possibilità di chiedere un passo alla volta, in ogni momento, a qualsiasi ora, chiarimento sulle lezioni e su ciò che si studia. Questo assistente è chiaramente lei, l’intelligenza artificiale. Mondadori è la testa. È la visione strategica. È milioni e milioni di libri, che raccolgono storie e idee, fatti e ricordi, discorsi logici e matematici, bellezza e poesia. È un continente di quel mondo senza fine che chiamiamo immaginario. È quello di cui si nutre la macchina di memorie e algoritmi.
Allora adesso parliamo di libri, e non solo. La famigerata AI non è il demonio. È però lo strumento di un cambio di paradigma e noi ci stiamo dentro. Non è come raccontare le rivoluzioni industriali del passato, magari come accade nell’ultimo romanzo di Ken Follet, Le armi della luce pubblicato da Mondadori. È invece la vita in diretta. È chi sta qui e si chiede cosa accadrà del suo lavoro, quanto pesano le proprie abilità, quanto la macchina può renderti inutile o obsoleto. È chiaro che l’intelligenza artificiale può fare molte cose a costo zero. Non è sempre detto che possa farle da sola, l’uso del femminile è puramente arbitrario, alla fine ognuna la immagina come vuole. Donna magari te la fa sembrare meno antipatica. Il centro infatti non è la macchina, ma come verrà usata. L’uomo in questo è parecchio più imprevedibile. Tutti si preoccupano a parole delle conseguenze etiche e sociali, ma non tutti lo faranno. La Mondadori ha fatto una promessa: non daremo alla macchina le chiavi del nostro futruro. La fa nel giorno in cui OpenAi, i padri di Chatgbt, ha sciolto il gruppo che avrebbe dovuto monitorare i rischi a lungo termine dell’intelligenza artificiale. È come buttarsi senza rete.
Nel mondo dell’editoria l’intelligenza artificiale può tradurre, convertire i tuoi discorsi in diretta in tutte le lingue del mondo, scrivere articoli e comunicati stampa, immaginare una campagna di stampa, dipingere, scrivere i testi e la musica di canzoni, fare gli arrangiamenti e una montagna di altre cose. Antonio Porro, amministratore delegato di Mondadori, rivela davanti ai giornalisti che «l’intelligenza artificiale l’abbiamo già usata per le traduzioni e per le copertine, poi riviste dai nostri grafici». Non è escluso che possa essere chiamata in causa per selezionare i manoscritti che arrivano alla casa editrice. È la prima scrematura. È l’algoritmo che boccia o promuove i testi di chi ha un libro nel cassetto. Il giudizio di un algoritmo? Almeno li legge. È il tempo la variabile che cambia. La macchina è più veloce degli umani. La macchina fa il lavoro sporco. La macchina potrebbe essere perfino un colpo di fortuna per chi non se lo aspetta.
Come li fa tutti questi lavori? La risposta per ora non può che essere una; senza infamia e senza lode. È mediocre e ogni tanto si lascia andare a certe cialtronerie e sbaglia date e nozioni o si inventa qualcosa pur di non ammettere la propria ignoranza. Perdonatela. È una bambina di pochi anni. Sta imparando e la cosa straordinaria è che impara. Non sappiamo davvero dove possa arrivare. Non lo sanno neppure in Mondadori. È un viaggio dove la consapevolezza è l’atteggiamento più importante. Non ha senso fingere. Il mestiere di editore non è quello un paio di anni fa. Nessun mestiere lo è. Antonio Porro lo fa capire con chiarezza, con le parole e con lo sguardo. Stiamo andando a passo svelto verso un orizzonte sconosciuto. È qui che l’amministratore delegato di Mondadori mette in piazza un progetto che fa i conti con un universo in espansione. Si chiamerà Narae. È una piattaforma che raccoglie narrativa seriale da leggere sullo smartphone. Sono racconti brevi, a puntate, che puntano a coinvolgere i lettori deboli, quelli che non comprano libri. È il lettore veloce, da metropolitana, con lo sguardo fisso sul telefonino. L’idea è di attirarlo con l’amo del pezzo breve ma che ti lascia la curiosità del «chissà che succede». È la trappola del cliffhanger, o se si vuole del finale di puntata sospeso. È tipico delle serie televisive, ma l’innovazione in realtà è di messer Ludovico Ariosto. È uno dei segreti dell’Orlando Furioso. È la tecnica poi resa popolare dai feuilleton. Non si inventa nulla. È che le idee fanno larghi giri e poi tornano a casa. Il nuovo progetto Mondadori si ispira all’esperienza vincente in Corea del Sud, che poi si è allargata a Giappone e Cina. Si tratta di serie che vanno dal romance al fantasy fino a toccare il crime. Rosa, azzurro e nero. Il nome degli autori non conta più di tanto. Ma chi li scriverà? Alexandre Dumas aveva una decina di collaboratori. Qualcuno li definiva scribacchini. Questo non rende i Tre moschettieri un’avventura meno meravigliosa e Vent’anni dopo un capolavoro. Dumas si faceva aiutare perché i ritmi di scrittura del feuilleton erano bestiali. Antonio Porro non crede che l’intelligenza artificiale scriverà romanzi immortali. Non è Dumas. Non è ancora neppure quasi come Dumas. È però una scribacchina onesta e non costa nulla.