Il Messaggero, 21 maggio 2024
Matilde Serrao a fumetti
Sembra incredibile, ma grande lettore dell’“ardita napoletanella” fu Henry James. Possedeva una copia, la prima del 1885, della Conquista di Roma, e riconosceva in lei una «rara energia e una immensa disinvoltura». Quando gli capitò sotto gli occhi Il paese della Cuccagna in cui Matilde Serao è complice e critica di una ritualità diffusa dal gioco del lotto al vicolo, dal salotto piccolo borghese all’amore infelice, confessò che l’opera lo spinse a leggere qualsiasi cosa di lei: «non vi è nulla della sua produzione letteraria che non conosca perfettamente». Ma dove nasce l’"ansia del discepolo” in uno scrittore tanto diverso? James elogia della Serao una dote comune a pochi scrittori, «la fine della sua storia non è mai per il lettore la fine della sua opera. La recita continua di personaggi che non fanno che amare». E forse vuole capire il segreto dell’indiscriminata, incontenibile vitalità che Serao, indifferente a ogni regola letteraria, sfoggia nel rappresentarla.
Proprio questa vitalità che sembra sfuggire a ogni regola è il segno distintivo e anche figurativo della graphic novel Matilde Serao. La voce di Napoli di Francesca Bellino e Lidia Aceto, in uscita il 24 maggio per BeccoGiallo (sarò presentato oggi, con le autrici e Francesca De Sanctis, alla libreria L’Altracittà a Roma, in via Pavia 106). È la biografia della celebre giornalista de Il Mattino e fondatrice di un quotidiano, Il Giorno, con i tratti distintivi della sua personalità: l’amore appassionato per Napoli e la tenacia che ha caratterizzato la sua carriera, il profondo legame con la città e il suo impegno nel raccontare le storie della sua comunità, una su tutte l’eruzione del Vesuvio. Grande madre del giornalismo italiano, o grande giornalista del romanzo italiano, scrittrice prolifera e versatile, poligrafa in tutti i sensi e senza alcuna inibizione, in prima linea tra gli scrittori che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, portando la letteratura nel giornalismo, furono impegnati nel ritrarre la vita di Napoli spesso con un metodo a mezza strada tra l’indagine sociologica e le “verità” della letteratura. Matilde Serao fu osservatrice attenta dei costumi della piccola borghesia e della plebe partenopea. Il suo campo di osservazione s’incentra ora su una folla di impiegati, ora di venditori ambulanti, di scugnizzi e di donne alle prese con la sopravvivenza quotidiana nei luridi e oscuri vicoli nel cuore della vecchia Napoli.
Nei libri della sua miglior stagione, quella degli Anni Ottanta, con i bozzetti di Dal vero, Le Leggende napoletane, Il ventre di Napoli e Il Paese di cuccagna, sulla scia di Zola, la Serao fa una spietata analisi dei mali di Napoli, aggravati dalla tragedia del colera, di cui era vittima «una popolazione magra e pallida, appestata dalla propria sudiceria». Sono poste sul tappeto questioni ancora oggi non superate, sono confutati i comodi giudizi sulle scarse attitudini del popolo napoletano e individuata l’arroganza di una classe dirigente indifferente e incapace di risolvere i mali, con una denunzia precisa di responsabilità ed errori. La plebe è studiata dalla Serao nella sua superstizione, nel colore dei suoi mille mestieri, nelle sue appassionate aspirazioni che si concretizzano soprattutto nella follia collettiva del gioco del lotto, valvola di salvezza che potrebbe mutare repentinamente una sorte avversa. La Serao combatteva una vera e propria battaglia civile contro il malcostume amministrativo e politico rivelando le sue indiscutibili doti di polemista e giornalista. Straordinaria giornalista, una sorta di «storiografa dell’istante che ha generato nel bene e nel male generazioni di giornalisti italiani segnati dal vivere al confine tra giornalismo e letteratura» ha scritto Donatella Trotta in un libro a lei dedicato, grazie alla sua opera giornalistica (55 milioni di parole in mezzo secolo di attività), disinvoltamente capace di alternare e accostare i generi, dall’articolo all’inchiesta, alla pubblicità al romanzo, alla polemica politica alla cronaca mondana, alla rubrica.
Una scrittura che sembra sovrapporre tutto il suo innegabile talento nel mestiere stesso del giornalista («l’articolo di giornale dà alla mia impazienza, alla mia ansia una soddisfazione immediata») a forme di contaminazione tra tecniche diverse che spingono la Serao alla cronaca mondana, alle recensioni teatrali, agli editoriali, agli articoli di attualità e divulgazione o intrattenimento, al romanzo. E tutto in una continuità simbiotica con la produzione narrativa. Anche se lo stesso James riconosce che «i libri tradiscono in modo lampante le condizioni in cui sono nati, non sono in senso letterario i figli di una lunga maturazione e del tempo libero».