la Repubblica, 21 maggio 2024
Intervista a Roby Facchinetti
C’è un “Dio delle città” che ha “viaggiato più di noi”. E poi c’è una Dea che ha rapito il cuore della sua città, facendola viaggiare per il continente. Prossima tappa domani: Dublino, finale di Europa League col Bayer Leverkusen.
Roby Facchinetti, bergamasco, tastierista e cantante dei Pooh da 58 anni, ricorda la sua prima volta allo stadio per l’Atalanta?
«Non avevo neanche sei anni. Mi portò zio Silvio, lo chiamavano “Necchi” perché era rappresentante di macchine per cucire. Suonava il violino, cantava con voce tenorile, faceva teatro. E non si perdeva una partita. Giocava sempre la stessa schedina al Totocalcio, convinto che per le leggi dei numeri prima o poi avrebbe vinto: non ha mai fatto neanche un dodici».
Come reagì il piccolo Facchinetti?
«Vidi lo spettacolo più grande. La musica unisce, regala emozioni. Ma nel calcio c’è il tifo, il senso d’appartenenza, che vivi anche se non capisci il gioco».
Detto dal protagonista di migliaia di concerti…
«…a volte sovrapposti alle partite.
Uno dei tecnici ha il compito di informarmi: “Due a zero per l’Atalanta”. E poi si suona meglio, a mille».
Avete cantato “Cuore azzurro”, inno dell’Italia nel Mondiale 2006.
«Il calcio era in pieno scandalo scommesse e tutti ci sconsigliavano: “Siete matti, chi ve lo fa fare?”. Per fortuna abbiamo insistito. Per Lippiportava fortuna e lo faceva ascoltare alla squadra in pullman, dall’albergo allo stadio: il nostro piccolo contributo a una grande impresa».
Il palco dei Pooh è una fotografia dell’Italia del pallone: Stefano D’Orazio, scomparso nel 2020, tifoso della Roma, Riccardo Fogli della Fiorentina, Dodi Battaglia del Bologna. Red Canzian ha scritto l’inno del Treviso, lei quelli dell’Atalanta.
«Atalanta azzurra nel 1986, Dea nel2007, con i cori dei ragazzi della curva Nord. Guardo con simpatia alle squadre degli amici, ovviamente se non giocano contro la mia. E ho ancora nel cuore i nostri ex calciatori. Sono felice quando nel Torino segna Duvan Zapata: si allenava nel parco di casa mia durante la pandemia: ha pranzato da me, siamo amici».
Cosa le confidava?
«All’inizio non capiva cosa volesse l’allenatore da lui. E diceva “Io ho paura di Gasp!”».
Ma è così cattivo Gasperini?
«Ne esistono due versioni. In campo spesso è intrattabile. Fuori è una persona fantastica. Abbiamo una cena in ballo, finora la squadra ha avuto un calendario troppo fitto.
Magari la organizziamo dopo la finale di Europa League».
L’Atalanta non vince un trofeo dal ’63: non c’erano ancora i Pooh.
«Speravo di interrompere l’attesa con la Coppa Italia. Ora c’è il Bayer, non sarà facile ma siamo abituatiall’impossibile. Chi pensava mai di battere 3-0 il Liverpool? Meritiamo la vittoria per gli ultimi otto anni: la società ha dimostrato che non è necessario investire 3 o 400 milioni per arrivare in Champions. Un modello che è stato imitato, penso al Bologna di questa stagione».
Il più grande meritodell’Atalanta?
«Ha fatto conoscere in Europa una città di provincia. C’è chi viene a Bergamo per vederla giocare. Tanti fan dei Pooh mi dicono: “Non tifo ma simpatizzo per l’Atalanta”. Mi si apre il cuore».
Ha scelto Gasperini e alcuni giocatori come protagonisti di “Rinascerò, rinascerai”, dedicata a Bergamo durante la pandemia.
«Il momento più tragico. Nel video ci sono amici, calciatori, campionesse come Sofia Goggia e Michela Moioli e, soprattutto, medici e infermieri dell’ospedale Giovanni XXIII. Gli ammalati mi ringraziavano, il brano era la loro migliore medicina. Ho chiamato Stefano D’Orazio, autore del testo, gli ho detto: “Ci siamo meritati il paradiso” e siamo scoppiati a piangere insieme. Lui ha scritto: “Quando tutto sarà finito, torneremo a riveder le stelle”, ora mi auguro che possa vedere da vicino quelle stelle» (la voce si incrina).
A Dublino può ricevere il regalo per gli ottanta anni, compiuti lo scorso primo maggio.
«L’Atalanta mi ha accompagnato per tutto il viaggio, che ho raccontato nel libroChe spettacolo è la vita.Ma il regalo non è per me, è per Bergamo.
Perché l’Atalanta è Bergamo».