la Repubblica, 21 maggio 2024
Amare la lentezza degli alberi
Tahar Ben Jelloun. Amare la lentezza degli alberi
Il grande autore dedica alla creature verdi più longeve e affascinanti un volume per ragazzi scritto e illustrato da lui. In cui spiega perché dobbiamo ispirarci alla loro saggezzaIo non sono uno specialista di boschi. Non intendo presentarvi ogni albero, dal nome latino alla circonferenza del tronco. Vorrei proporvi piuttosto una passeggiata: facciamo una camminata insieme e ammiriamoli. Mentre i nostri ricordi scorrono, impariamo a guardarli e a svelare alcuni dei loro numerosi misteri. Parlerò solo degli alberi che ho incontrato.
I “miei” alberi. Nella vostra memoria, nei vostri occhi e nella vostra carne, probabilmente ce ne sono molti altri. Io ho un temperamento impaziente, ma mi piace anche la lentezza. Ricordo che mia madre amava cucinare la carne nella tajine sulla carbonella. Ci voleva tutta la mattina. Quando tornavo a casa affamato da scuola, la carne non era ancora cotta e mi lamentavo con lei: perché non usava una cucina a gas come quella della zia, simbolo di ricchezza e modernità nello stile di vita? Mi rispondeva sempre: «La buona cucina non si fa in fretta. Una tajine cotta al fuoco del gas perde la sua delicatezza. La carne è costretta a diventare tenera. È qualcosa di artificiale». La lentezza è un valore essenziale – continuava mentre si affaccendava intorno al pasto. Spesso mi faceva l’esempio degli aranci piantati intorno alla grande casa di sua sorella. Producevano fiori bianchi in primavera. Armata di una canna, mia madre agitava i rami per far cadere i fiori in un grande lenzuolo posato per terra. Poi li faceva cuocere a vapore in una pentola di couscous per recuperare quella che chiamava «l’acqua di fiori d’arancio», con il suo profumo dolce e rinfrescante. Gli alberi hanno bisogno di tempo per crescere, svilupparsi e resistere per diversi decenni, o addirittura per un secolo o due, e noi a nostra volta dobbiamo prenderci il nostro tempo. La loro vita è un tributo alla lentezza. Nascere, crescere, difendersi, ammalarsi e morire. Lentamente, sicuramente.
L’uomo ha un problema con il tempo. Gli alberi, invece, non ne hanno. Vivono senza fretta, senza fare rumore, senza agitarsi nervosamente. A volte le persone si sottopongono a cure, corsi o ritiri per imparare la lentezza e la pazienza e raggiungere una certa leggerezza di vita. Gli alberi non ne hanno bisogno. Vivono al loro ritmo e non si preoccupano del resto del mondo. Un poeta scrisse una volta: «L’albero, dove l’uccello e il tempo vanno a nidificare»… Quando lessi quelle parole, ebbi la sensazione che si creasse un posto speciale nel mio cuore per tutti gli alberi della mia vita, quelli che mi avevano offerto e mi offrono tuttora un rapporto diverso con il tempo. Quelli che aiutano a invecchiare, fra l’altro. L’uomo, vedo, si piega verso il suolo. L’albero, invece, invecchiando acquista una splendida verticalità. Accumulare gli anni e tendere al cielo: una lezione che mi accompagna ogni giorno. (…)
Il tempo degli alberi si estende in lunghezza; ripetono un ciclo, incarnando il rinnovamento perpetuo. Il platano, l’alloro, il cipresso, la quercia, il faggio, il pino, ma anche gli alberi da frutto, come ad esempio il melo, il pero, il gelso, il melograno, l’arancio, il limone, il fico, l’ulivo: tutti seguono un ciclo e la vita che rinasce. Ogni stagione è uno spettacolo.
Cominciamo con l’autunno, la mia stagione preferita. I boschi assumono i colori del fuoco. «I larici si coprono con cuffie e pellicce di pelli di marmotta, gli aceri si avvolgono in gambali rossi, indossano pantaloni alla zuava, si avvolgono in mantelli da boia, portano berretti alla Borgia…», scrive Jean Giono nel suo Un re senza distrazioni. L’albero si illumina: rosso, arancione, giallo, marrone. Poi perde le foglie e comincia a spogliarsi. La linfa, che è come il sangue dell’albero, smette di circolare. Le foglie non sono più nutrite, si seccano e cadono. Abbandonate a terra, coprendo il suolo, vengono presto portate via dal vento e dallo spazzino.
Non svolgono più la loro funzione: collaborare con le radici perché la pianta assorba la giusta quantità di acqua. L’albero si separa dalle foglie solo quando sa che ha una riserva d’acqua sufficiente per la primavera successiva. Calcola, stima e misura. Nulla avviene a caso. Ogni albero ha il suo momento. A ciascuno il suo temperamento e le sue necessità. In inverno, quando gli alberi sono a riposo, recuperano le forze. Possono sembrare morti, ma in realtà dormono. In primavera, si danno da fare, facendo crescere le gemme e facendo diventare verdi gli steli. Le foglie producono zucchero grazie all’acqua, all’aria e alla luce, e questo zucchero alimenta gli alberi in crescita. In estate sono splendenti. I fusti sono più scuri perché più spessi. La parte nuova e tenera dei rami si trasforma in legno. Lo zucchero viene immagazzinato nella linfa, in previsione dell’inverno. Come passano da una stagione all’altra? Come fanno a sapere che è il momento di cambiare abito, di mettersi in ghingheri, di rinnovare le forze o di andare in letargo? Mentre giro tra i loro tronchi, intuisco che è la luce a indicare le stagioni. Gli alberi riconoscono la fine dell’inverno dal calore e dalla durata del giorno. I faggi, per esempio, iniziano a diventare verdi solo se vengono esposti alla luce per almeno tredici ore al giorno. Questa sensibilità alla luce è probabilmente localizzata nelle foglie, ma anche nel tronco, la cui corteccia ospita piccoli germogli, piccole foglie, in grado di rilevare la luce. Così, se si ripianta una quercia o un faggio dell’emisfero settentrionale nell’emisfero meridionale, non avrà problemi ad adattarsi all’inversione delle stagioni.
Nel corso della mia lettura, pagina dopo pagina, anno dopo anno (anch’io sono una vecchia quercia che prospera con l’età), ho imparato che gli alberi sanno contare. Sanno quanti giorni caldi ci sono e calcolano che dopo di loro arriveranno le mattine fresche e umide. Ma cosa succede quando il cambiamento climatico riscalda l’inverno, brucia l’estate, inaridisce o inonda interi mesi del nostro calendario? Come faranno i nostri alberi a sapere quando cadranno le foglie e quando sarà il momento di far crescere nuovi germogli?
Questo testo è un estratto da Gli alberi raccontati ai bambini (La nave dei Piccoli, traduzione di Anna Maria Lorusso, pagg. 100, euro 17), scritto da Tahar Ben Jelloun e corredato dai suoi disegni. L’autore è in cartellone nel programma di Viareggio della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, il 23 maggio alle 21 al teatro Eden, con Cristina D’Avena (che poi si esibirà con il gruppo Gem Boy) Ingresso libero con prenotazione su Eventbrite