Corriere della Sera, 20 maggio 2024
Ape, la regina è in pericolo
Oggi, 20 maggio, si celebra la Giornata Mondiale delle Api. Negli anni giustamente si è creata una grande attenzione nei riguardi di questi insetti che, fino a non molto tempo fa, venivano per lo più ignorati e questa ricorrenza è utile per capire a che punto siamo e che cosa ognuno di noi può fare per tutelare questo grande gruppo di impollinatori.
Vaticini più neri si addensano da tempo sull’orizzonte: le api stanno sparendo! Sicuramente hanno avuto dei problemi, ma dobbiamo sempre ricordare che le api ligustiche, quelle che producono miele, pur mantenendo un loro margine di libertà sono comunque animali domestici, dove «domestico» vuol dire che hanno un essere umano che si prende cura di loro, che le nutre, se hanno fame, che osserva il loro stato di salute con attenzione e interviene con tecniche atte a proteggerle dai parassiti, varroa destructor in primis. L’arrivo di questo acaro dall’Asia, ormai decine di anni fa, ha sferrato un duro colpo alle popolazioni, anche perché le nostre api, a differenza di quelle che si sono evolute insieme ad esso, non sono in grado di liberarsene. Adesso sul territorio è presente la minaccia della vespa vellutina, un imenottero di importazione capace di far strage delle nostre piccole amiche, ma esiste comunque una rete nazionale di vigilanza che cerca di tenere sotto controllo la diffusione di questo pericoloso predatore. Anche il calabrone nostrano è un predatore di api, ma le ligustiche, dato che lo conoscono da un bel po’ di tempo, hanno messo a punto una tecnica difensiva piuttosto efficace: quando si avvicina pericolosamente all’arnia, lo circondano in massa e, pompando con il loro corpo, innalzano rapidamente la sua temperatura; quando questa raggiunge i 38° il calabrone collassa.
Più che il rischio di estinzione delle api domestiche, dunque, a essere veramente in grande crisi, negli ultimi anni, è la produzione del miele; e questa crisi è conseguente agli sfasamenti indotti dal clima – piante che fioriscono troppo presto o che vengono colpite dalla coda dell’inverno quando stanno per offrire il prezioso nettare – perché la grande gozzoviglia delle api, si fa per dire, è data mediamente dalla fioritura dell’acacia e da quella dei tigli, e quando queste, a causa del clima o di una prolungata siccità, falliscono, le nostre amiche vanno in stress, anche perché spesso coincide con il loro massimo periodo riproduttivo.
Per invertire la rotta, dunque, dobbiamo poter immaginare nuove strategie di coltivazione, come, ad esempio, quella di piantare in zone di interesse apistico varietà di acacie e di tigli con fioriture scaglionate nel tempo per permettere loro di nutrirsi più a lungo. Inoltre, sono certa che uno dei campi in cui gli algoritmi e l’intelligenza artificiale daranno i contributi più importanti sarà proprio quello dell’allevamento e dell’agricoltura. Esistono già le arnie elettronicamente monitorate, dotate di biosensori capaci di rilevare costantemente le condizioni del benessere dell’alveare.
Possiamo mettere piante sui terrazzi, creare zone di osservazione nelle scuole o aiuole nelle case di riposo
A essere veramente a rischio sono le api senza padrone. In Europa esistono duemila specie di api selvatiche e non poche di loro sono oligolettiche, cioè che traggono nutrimento solo da pochi fiori. Le arature sconsiderate, l’abuso di diserbanti, la riduzione di zone di vegetazione spontanea hanno cancellato un gran numero di specie botaniche che fornivano un prezioso nutrimento a queste api, minacciate anche dalla forte presenza sul territorio delle api ligustiche, che sono polilettiche, cioè in grado di prosciugare tutto il nettare presente, dato che ogni arnia ospita una media di ventimila esemplari.
Per fare sì che queste ricorrenze non siano soltanto una mera ripetizione di annunciati catastrofismi, perché non pensare a un’educazione entomologica di base delle persone, partendo dalle scuole? Le popolazioni degli insetti sono in drastico calo e questo, per l’equilibrio della biodiversità, è molto grave. Alla base di questo ci sono grossi problemi ambientali, è vero, ma forse imparare a riconoscere quello che vola e striscia intorno a noi e provarne meraviglia invece che solo terrore, orrore e desiderio di uccidere, sarebbe un’ottima strada per introdurre un diverso rapporto tra noi e il vivente. Gli insetti infatti sono ovunque, nel centro delle città super trafficate, nelle cantine e persino nei più igienizzati degli appartamenti e in Italia, a differenza dei Paesi tropicali, abbiamo davvero poche specie velenose: le api, le vespe, e i calabroni lo sono, e con loro bisogna sempre usare grande cautela, ma il non saper distinguere rischia di far prendere fischi per fiaschi. Quante volte mi è capitato di vedere persone in silenzio estatico davanti a un’ape posata su un fiore e quando svelavo che quella meravigliosa ape in realtà era un sirfide, dunque un dittero, parente delle mosche, il loro sguardo si riempiva di stupore.
Il grande biologo Edward Wilson riteneva che le strade cittadine dotate di un servizio giardini piuttosto carente fossero un vero dono per la continuità delle popolazioni di insetti. Ed è proprio così. Quante volte ho fatto meravigliose osservazioni in questo campo camminando per le strade di Roma!
E allora perché non pensare che tutti noi possiamo fare qualcosa, mettendo delle piante sui nostri balconi, creando delle zone di osservazione nelle scuole, o delle piccole aiuole nelle case di riposo. La continuità di nutrizione è importante per gli impollinatori e l’osservazione del piccolo mondo alato, una volta accantonato il terrore, potrebbe diventare un passatempo capace di portare un po’ di serenità e leggerezza in un mondo sempre più cupo e disperato.