Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 20 Lunedì calendario

Gioventù politica

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, là nelle terre basse alle porte delle valli nell’ingorgo del Sillaro e del Santerno, nel buio alle porte del canale Zaniolo, al largo dei bastioni del Destra Reno, nell’indecifrato intrico di fossi e stradelli tra le province di Bologna, Ferrara e Ravenna. Ah, se ne ho viste di cose a Conselice, l’augusto paese dallo stendardo steso di rosso fuoco e al palo un luccio d’argento e una tinca d’oro. Bagliori di socialismo, ombre di sedizione, civico fervore, animi non sopiti. E un monumento al ranocchio, perché, assai più disponibile di tinche e lucci, il modesto ranocchio ha nutrito le cento generazioni della nera miseria di un popolo di braccianti di latifondo, di coloni di palude. Si favoleggia per tutta la Romagna che come sappiano friggere le rane a Conselice non ce n’è al mondo, roba che i francesi, per loro cultura invidiosi, sono venuti in incognito a studiare, aleggia la leggenda nera che la delizia del ranocchio conselicese sta nella sublime arte di friggerlo da vivo, alla moda di Galvani.
Conselice voi lo conoscete, o almeno lo ricordate. L’anno scorso nel maggio della sventura i ventitrè fiumi di Romagna diedero la sveglia tutti assieme, Conselice, che è spalmato a un pelo fuor d’acqua, rimase sott’acqua per due settimane, tornando palude, acquitrino, cloaca. Il suo popolo non volle evacuare, le televisioni, i giornali, i social ve l’hanno raccontato, ne avete avuto meraviglia e pena, ma non so se avete potuto capire quella gente, l’ostinazione della fatica e del sacrificio, l’attaccamento al poco, al pochissimo, la venerazione per le loro piccole case, per le loro terre ostiche, difficili, fragili, così poco propense al compiacimento della bellezza e dell’ubertà. Che pure c’è, anche se noi che siamo solo passeggeri, che ci capita di arrivare a Conselice solo perché volevamo andare da qualche parte e ci siamo persi, non riusciamo a vederla nelle nebbie d’inverno, nebbie solide abbastanza da poterci appoggiare la bicicletta, negli opachi miraggi del torridume d’estate velato dalla cortina delle zanzare, ma loro vedono e vivono, e amano con indefettibile dedizione. La stessa dedizione, così ovvia per loro, così esotica per l’estetica della contemporaneità, che hanno portato e ancora portano per il socialismo. Un socialismo mistico, ostico, fragile, difficile, una fede praticata con ribalda determinazione terricola, eppure un lindo, monacale fervore nell’estatica contemplazione dell’assoluto trascendente, il comunismo. Certo, si hanno le visioni a lavorare da sole a sole in queste terre infestate dalle febbri, fami mai saziate per secoli e secoli. Che altro se non osare un sogno, depredati della dignità del vivere da nobilastri feudatari, vescovi di indole schiavista, agrari usurpatori di carte catastali. Quella gente doveva vivere di una terra che era coltivabile solo per un quarto del territorio, il resto era palude o acquitrino o valle, o comunque inondabile a piacere del fiume.
Prima di lavorarla la terra doveva essere sottratta all’acqua in una estenuante e senza mai fine opera di bonifica, il lavoro degli scarriolanti, volta rivolta e torna a rivoltar; la cosa più facile da piantarci poi era il riso, cultura povera, molto meno redditizia del frumento o del frutteto. Intanto, a metà ‘800, i conti Massari possedevano da soli un terzo delle terre coltivabili; a galleggiare nel mezzo a quelle loro terre i conti si erano fatti erigere un villone così incongruo e folle di magnificenza da palesarsi come un delirio alla Fitzcarraldo. A giudizio dell’Inchiesta Agraria del parlamento regio, in quel tempo i loro contadini vivevano in casupole di una o due stanze per la gran parte malsane o inabitabili. In tutta quell’acqua nessuno ne aveva di buona da bere, la prima fontana pubblica di acqua potabile fu aperta nella piazza del paese nel 1870.
Dev’essere attorno a quella fontana, in quell’acqua non più colerica che è cresciuto il germe del socialismo. A Conselice non c’è solo il monumento al ranocchio, ma ce n’è anche uno dedicato agli scarriolanti e alle mondine, tenuti assieme perché nel 1890, il fosco fin del secolo morente, assieme scioperarono per il salario. I carabinieri uccisero a fucilate due mondine e uno scarriolante e s’incendiò la rivoluzione. E la rivoluzione di Conselice non fu in armi, che non ce n’erano, ma più efficace e duratura. Da soli non siamo niente, assieme siamo tutto, questo convennero le braccianti, gli scarriolanti, i muratori, e fondarono le prime cooperative, capitale e lavoro nelle stesse mani, il pane ad ognun che lavora, l’infanzia del socialismo. E siccome il socialismo non sarà che una pia intenzione, non è detto che i pii intenzionati non abbiano che un amaro destino, e così già all’inizio del nuovo secolo i lavoratori che al 1890 erano i peggio pagati diventano i meglio pagati.
Di lì in poi Conselice si è mantenuta salda nella sua fede, sacerdotale nel dispensare il sacramento dell’ideale, persino i fascisti che se la presero furono accusati dalle alte gerarchie di criptosocialismo. Naturalmente fu resistente e naturalmente lo fu ad oltranza; c’è ancora uno strano monumento in Conselice, il monumento alla stampa clandestina, perché quel paese di contadini che avrebbero dovuto essere in eterno analfabeti era diventato nel tempo della dittatura un centro di stampa sovversiva, le tipografie ben nascoste negli anfratti della campagna. Naturalmente con la Liberazione Conselice si è lasciata andare senza esitazione al socialismo foss’anche in un paese solo, saldamente volta al comunismo a venire, eppure adottando senza alcun ritegno il sistema democratico. Si vota con libere elezioni a Conselice, la dittatura del proletariato è un tema a suo tempo ampiamente discusso e infine abrogato come fase superflua, e il partito comunista e i suoi successori non hanno mai disdegnato di governare anche con un risicato 80% dei suffragi, il compromesso storico con il cattolicesimo sociale risale al tempo di Don Minzoni. Naturalmente la cooperazione è il sistema economico e sociale corrente, e perfino il villone dei conti Massari ora è sede di una cooperativa agricola, vendetta della storia.
C’è in tutto questo una qual certa fissità da paradiso perduto, un pittoresco Macondo da visitare con la sensibilità di un antropologo, oggetto del visibilio di un sociologo, o, più correntemente, da convocare con il cinismo di un talk show, e in effetti al Costanzo Show fu ammesso il mitico sindaco Cocchi, a suo tempo in corsa con Fidel Castro per la carica più longeva. Forse. Ma c’è dell’altro, c’è una sorprendente resistenza all’ovvio, all’inevitabile corso della cronaca se non della storia, all’andamento dominante delle cose; c’è vita su quel lontano pianeta, e da non credere, ma ci sono grosse novità a Conselice, e non sono novità consone a questo nostro sistema solare. Lo dico perché l’ho visto con i miei occhi.
Ho visto qualche giorno fa la sala civica del paese, che oggi non arriva a diecimila abitanti, colma di gente da farla sprofondare, lì convenuta per la presentazione dei candidati della lista di centrosinistra alle prossime elezioni comunali, una riunione squisitamente politica. E vabbè, nient’altro che un rito della tradizione partecipativa kolchoziana, il plenum plaudente alla naturale inamovibilità del soviet supremo, e invece non è stato proprio così. Sistemati con comodo nelle prime file, gli anziani del paese, i custodi della tradizione, ascoltavano con accigliata attenzione un manipolo di giovinetti per poi applaudirli con spensierata ammirazione, i nonni che applaudivano i nipoti che li avevano appena spodestati. È andata così, un ragazzo, Andrea, ha parlato e discusso con i suoi amici e assieme hanno deciso di candidarsi corredati di una idea piuttosto semplice ma assai fattiva, è il tempo di una nuova generazione, è il momento di cambiare, non sistema, non mi è parso che fossero stufi di socialismo in un paese solo, ma il modo di pensarlo e condurlo.
E hanno dato avvio alla loro campagna alla vecchia maniera, c’è dell’antico nei ventenni nativi digitali, casa per casa, circolo per circolo, impresa per impresa, dicono di aver imparato in fretta a parlare e ascoltare, a dire quello che pensavano e ascoltare ciò che premeva, due attività del pensiero che messe assieme non si ammirano da parecchio tempo, e probabilmente nemmeno tra i loro genitori. Andrea, candidato sindaco, ha 23 anni, corso di laurea in Scienze politiche, e lì qualcosa deve pur avere imparato perché dice che la politica è una cosa buona e amministrare un dovere. Stella ha 19 anni, si diplomerà al liceo quest’anno, proprio non riesco a vedercela così minuta com’è, ma dice che non ha per niente paura a fare un comizio. Nohualia ha 22 anni, studia consulenza del lavoro, porta l’hijab con una grazia struggente, non vive in una comunità razzista, ma pensa di dover fare ancora qualcosa per un’integrazione vera, e il lavoro è vera integrazione. E Nicolò, Nicolò ha 22 anni, orecchini e piercing un po’ qua e un po’ là, è perito agrario, a 18 anni è andato a lavorare alla cooperativa braccianti, dopo sei mesi, visto che lavorava bene, lo hanno affidato al più anziano della cooperativa perché gli fosse consegnato il suo sapere prima che se ne andasse in pensione. Oggi, ripeto, 22 anni, è responsabile del personale dei frutticultori, 58 lavoratori specializzati nella coltivazione biologica, d’inverno si sveglia alle quattro, d’estate alle due e mezza, parla della potatura come di un’arte sublime, del suo frutteto come mio nonno parlava del suo, racconta del pereto distrutto dall’uragano seguito all’alluvione dello scorso anno con le lacrime agli occhi, come se avesse perso un figlio, dice lui, che a vederlo diresti che non può avere la più pallida idea di un figlio. A proposito di socialismo reale, il pereto è stato reimpiantato non con i ristori statali che non sono mai arrivati, ma con una colletta delle cooperative ravennati. Naturalmente i giovinetti qualche compromesso con il passato devono pur averlo fatto, e così in lista c’è anche qualche vecchietto. Giulia, che ha 31 anni e ha dalla sua che allena la gloriosa squadra dell’Atletico, solo Conselice e non Madrid purtroppo, fa da ponte con quarantenni, cinquantenni e sessantenni, fino ad arrivare a Natalino, 77 anni, scelta astutissima, visto che Natalino ha fatto tutta la vita il postino del paese e non c’è come un bravo postino capace di portare i voti dei pensionati. Siccome il mondo cambia anche a Conselice, la lista non conta solo contadini e operai, le falci e i martelli, ma tra gli anziani si scorgono anche un medico, un artigiano e due manager aziendali, che essendo femmine portano i componenti di genere alla parità tanto auspicata.
E allora? Conselice non è il Paese, non è il mondo e forse dal mondo ne è fuori. Conselice è solo una piccola storia, una storia singolare, strana, ma non patetica, questo no. Può insegnare qualcosa a noi così lontani dalle terre basse? Non lo so, penso solo che sia una bella notizia che esista, magari anche una buona notizia. Io ne ho viste cose a Conselice che voi umani non potreste immaginarvi. —