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 2024  maggio 20 Lunedì calendario

«Sensori nelle vene per prevenire attacchi cardiaci»


Un dispositivo wireless dotato di multisensori impiantato nei vasi sanguigni di persone che soffrono di malattie cardiovascolari, per monitorare in tempo reale alcuni parametri fondamentali del loro stato di salute. Il progetto IV-Lab, finanziato con 4 milioni di euro dall’Unione Europea e coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia, s’inserisce in quel percorso sempre più concreto di medicina personalizzata. Ne abbiamo parlato con Virgilio Mattoli, ricercatore dell’IIT di Pontedera (Pisa).
Come nasce l’intuizione che ha portato al progetto?
«Il nostro team si occupa di microtecnologie e materiali per elettronica flessibile, lavorando ad un altro progetto abbiamo pensato che fosse possibile integrare una serie di sensori molto piccoli in un oggetto impiantabile nel corpo e parlandone con ricercatori del campo medico, è venuta fuori l’idea di un sistema così miniaturizzato da poter essere impiantato in vena. Infine siamo venuti a conoscenza delle possibilità di finanziamento per progetti in ambito europeo e siamo andati avanti».
Da quale presupposto clinico prende corpo l’idea di un dispositivo multisensoriale impiantabile?
«Come idea di base siamo partiti dalla problematica cardiovascolare, in particolare lo scompenso cardiaco che andrebbe monitorato a lungo termine e in maniera puntuale per poterne prevenire la riacutizzazione ed evitare l’ospedalizzazione, e in ultima analisi ridurre la mortalità. Al momento non esistono sistemi di monitoraggio del genere, quindi è nata l’idea di realizzare sensori per monitorare marker specifici sviluppando un sistema tecnologico molto piccolo e impiantabile; tra l’altro c’è un aspetto molto importante di biocompatibilità di cui si occupano due gruppi, uno al CNR e un altro ad IBEC in Spagna che analizzano emocompatibilità e citocompatibilità, e studiano come sarà possibile in futuro, impiantare il dispositivo senza incorrere in reazioni avverse quali trombosi».
Di quale tecnologia è composto?
«È una specie di piccolo stent che contiene una parte elettronica miniaturizzata e micro-sensori, che verrà sviluppata con tecnologie elettroniche tradizionali ed altre più avanzate di microfabbricazione additiva, utilizzando anche sistemi ultraprecisi di deposizione di metalli».
E come è fatto l’involucro?
«È simile ad un tubicino che per dare meno fastidio possibile al flusso del sangue, verrà reso emocompatibile con un primo rivestimento che lo protegge e un secondo rivestimento di spessore molto sottile, molecolare, che lo rendono invisibile agli agenti biologici che potrebbero creare trombosi o altri fenomeni patologici».
Quanti sensori ci sono all’interno?
«Potranno esserci fino a 6 sensori che misurano pressione, ematocrito ed ossimetria in tempo reale, altri sensori elettrochimici basati su transistor organici che misurano sostanze molto specifiche, quali le troponine che sono dei marker rilevanti nello scompenso cardiaco e gli elettroliti del sangue, infine stiamo studiando un sensore di tipo ottico per la misura del glucosio; tutti questi sensori saranno alla fine integrati, ma verranno studiati tutti prima singolarmente, per testarne l’efficacia e l’integrabilità in opportuni simulatori in vitro».
Le dimensioni?
«Piccolo come un tubicino di 1-2 centimetri di lunghezza ed un diametro dai due ai quattro millimetri, che sarà impiantatile nelle vene o arterie in modo stabile».
E come sarà alimentato?
«L’idea è di un sistema senza batterie, perché non può averne essendo impiantabile nelle vene, ma che sia completamente alimentato dall’esterno come nella tecnologia NFC, quella già usata nei cellulari per pagare con carta di credito, che può essere usata sia per alimentare il sistema, che per leggere i dati. L’utente potrà alimentare il sistema appoggiando lo smartphone che legge i dati in tempo reale o utilizzando una sorta di smartwatch che tramite un piccolo cerotto posto nelle vicinanze del tubicino può alimentare wireless il sistema e leggere i dati in continuo».
In tutto questo l’intelligenza artificiale che ruolo riveste?
«Nel progetto specifico non investighiamo questo aspetto perché siamo a uno step precedente, cerchiamo prima di sviluppare il dispositivo che poi potrà essere fondamentale per un secondo passaggio, quando i dati, una volta raccolti, ad esempio, potranno essere inviati via cloud al medico. In questa fase l’IA potrebbe trovare applicazione ed avere un ruolo predittivo verso la malattia; potrebbe controllare i dati in tempo reale, confrontandoli con lo storico di quelli già acquisiti e indicare quando sta per succedere qualcosa, quindi un ruolo predittivo sia per lo scompenso cardiaco, problemi cardiovascolari, e magari anche per altri problemi, come infarto e ictus».
Il primo prototipo sarà pronto alla fine dei quattro anni?
«Sì, almeno il primo prototipo completo, ma contiamo di farne degli intermedi più semplici, magari con un solo sensore. Non vorrei sbilanciarmi, ma l’idea è di avere dei piccoli dispositivi integrabili e testabili già l’anno prossimo, ad esempio con un sensore per la pressione».
Che tipo di utilità potrà avere per i medici?
«I medici potranno avere accesso in tempo reale a tutte le informazioni fondamentali del paziente, per cui penso sia rivoluzionario per un monitoraggio molto più puntuale e consentire una reattività maggiore di intervento, anche a beneficio del sistema sanitario».
Qual è l’innovazione di questo progetto rispetto a quanto esiste, se esiste?
«Esiste un esempio di sistema che viene impiantato nell’aorta per misurare la pressione, in modalità wireless ed è l’unico sistema simile a quello che stiamo progettando, ma nel nostro caso ci sono più sensori che rilevano diversi parametri integrati in un microsistema all’interno di vene e arterie periferiche. Inoltre, se avremo successo, dispositivi simili potranno essere utilizzati anche per molte altre diverse patologie».