Il Messaggero, 20 maggio 2024
Il piano della premier per la Libia: patto con Bruxelles sul modello-Tunisia
ROMA Ci vorrà tempo. Difficile che riesca nell’impresa una Commissione europea dimissionaria, ormai depotenziata dalla campagna elettorale. Un patto fra Ue e Libia, sulla scia degli accordi siglati con i grandi Paesi nordafricani, dalla Tunisia all’Egitto. All’insegna di una semplice equazione: soldi, investimenti e addestramento delle forze armate in cambio di controlli più ferrei sul traffico di migranti diretti verso le coste europee. LA STRATEGIAÈ il piano a cui lavora dietro le quinte il governo Meloni, seguito da vicino dalla stessa premier, reduce da una visita lampo nel Paese dirimpettaio, a inizio maggio, con una doppia tappa a Tripoli e Bengasi. L’accordo europeo ha funzionato con la Tunisia. Da quando l’eccentrico premier Kais Saied ha ricevuto i finanziamenti della Commissione europea, finora centocinquanta milioni, lo Stato magrebino ha smesso di essere un imbuto di immigrazione irregolare puntato contro l’Europa. Ora l’Italia vuole replicare l’esperimento. E farlo con un Paese, la Libia, che desta grande preoccupazione a Palazzo Chigi per una nuova stagione di instabilità alle porte. Sotto i riflettori della nostra intelligence, così come della diplomazia americana, c’è una crescita sostanziale della presenza militare russa nella Cirenaica, la regione controllata dal maresciallo Khalifa Haftar, il ras di Bengasi. La Wagner, il gruppo paramilitare guidato dall’ex oligarca Evenij Prigozhin, rimasto ucciso in un incidente dopo aver tentato un golpe contro Vladimir Putin, sulla carta non c’è più. Ma l’organizzazione di mercenari che da anni sbriga gli affari del Cremlino in Africa, sostiene e finanzia i regimi golpisti del Sahel, ha solo cambiato volto e nome. La Wagner 2.0 oggi si chiama Afrikanskij Korpus, è alle dirette dipendenze del ministero della Difesa russo e può contare su almeno 1800 militari in Libia, stando all’ultimo rapporto di All Eyes on Wagner, un gruppo di specialisti che indaga sulle manovre dei mercenari russi in Africa. Un cappio che si stringe intorno ad Haftar – i soldati di Putin hanno preso il controllo di basi strategiche e passeggiano indisturbati per le strade di Tobruk – e ha fatto scattare l’allerta anche a Roma.Non è un caso se Meloni, nel suo blitz libico, ha chiesto con toni perentori ad Haftar di recidere i legami con Mosca. Le parole però non bastano. E da qui prende le mosse il lavorio diplomatico italiano. Da un lato il rafforzamento del debole governo di Dbeibah, a Tripoli, l’unico riconosciuto dall’Onu. E l’unico possibile interlocutore di un accordo con l’Unione europea per la gestione dei flussi. È passata sotto i riflettori, pochi giorni fa, la visita di Dbeibeh a Bruxelles, ricevuto in pompa magna dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Un evento raro e denso di significato, per un premier libico che anche all’estero manca di legittimazione. Quell’incontro nel cuore dell’Europa, spiegano al Messaggero fonti a conoscenza del dossier, è stato caldeggiato proprio da Meloni, che con von der Leyen ha allentato l’intesa politica ma tiene un canale aperto sui dossier più impellenti in agenda, a partire da quello migratorio. La visita è servita a Dbeibah per rafforzare la sua leadership in casa. E insieme rispondere alle critiche di chi vede la “sua” Libia tagliata fuori dai ricchissimi accordi siglati dall’Ue con tanti Paesi del vicinato, per ultimo il Marocco. Il lavoro per replicare il “modello Tunisia” in Libia, confermano da Palazzo Chigi, è già iniziato. Certo senza il benestare di Haftar, l’uomo dell’Est, non se ne farà nulla. Per questo l’Italia è in pressing sul maresciallo della Cirenaica per allentare la presa di Mosca in cambio di contropartite. Finanziamenti, anche qui. Come gli investimenti promessi da Meloni – con l’aiuto di grandi gruppi privati italiani – per ricostruire Derna, la città devastata un anno fa da una alluvione. Altri progetti comuni saranno avviati in queste aree nel campo della coltivazione. LA DETERRENZAServirà anche la deterrenza. Per questo Meloni, nel recente incontro a Roma con il segretario della Nato Jens Stoltenberg, ha chiesto un impegno concreto dell’Alleanza sul “fianco Sud”, da tradurre se necessario in programmi di addestramento delle forze armate di Paesi esposti alla penetrazione russa, in Nord Africa come nel Sahel. La rete libica, si diceva, è legata a doppio filo al problema migratorio. A Palazzo Chigi non si fanno troppe illusioni sui numeri che pure, alla vigilia della stagione estiva, sembrano sorridere. La rotta del Mediterraneo orientale, quella all’origine della tragedia di Cutro, è quasi azzerata. Una stretta sulla circolazione dei visti da parte del governo servirà a evitare la nascita di nuove rotte asiatiche. Dal Nord Africa le partenze sono in calo, complici i respingimenti (contestati) delle forze di sicurezza tunisine. L’anello debole si chiama Libia