il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2024
Garibaldi? In soffitta! L’impresa dei Savoia: spremere i Mille e respingere l’Italia democratica
Negli ultimi giorni del maggio 1860, sconfitti i “napoletani” a Calatafimi, Giuseppe Garibaldi e i suoi Mille (e poco più) in camicia rossa, oltre ai volontari siciliani che si erano uniti a loro, raggiunsero Palermo. Vi entrarono il 27, dopo il combattimento di Ponte Ammiraglio e poi le barricate per le strade della capitale siciliana, da piazza Rivoluzione alla Cattedrale. La città, intanto, era insorta contro le truppe borboniche, che il giorno 30 chiesero l’armistizio. Ai primi di giugno i “napoletani” se ne andarono. Cominciò la marcia dei garibaldini verso il Continente. Si passò lo Stretto, la direzione era Napoli. Qualche settimana dopo, i Mille erano ormai diventati migliaia. Dopo la conquista di Palermo, i Mille (e 89, a quanto pare) si erano ridotti a poco più di seicento. Il 18 giugno, però, cominciarono ad arrivare i rinforzi: duemilacinquecento al comando di Giacomo Medici, e poi via via gli altri contingenti di volontari (oltre ventimila). Proseguiva parallelamente l’azione di reclutamento locale, per costituire l’Esercito Meridionale. Poté contare infine su circa cinquantamila uomini, dei quali più di trentamila erano del Sud Italia e in buona parte di estrazione popolare. Ma l’Esercito di Garibaldi venne smantellato già nel novembre del 1860. La nuova Italia sabauda, regalata al Re e a Cavour da Garibaldi, non voleva immettere nelle proprie forze armate una massa di potenziali repubblicani, assertori della conquista di Roma, e in qualche caso addirittura di idee socialiste. Con lo scioglimento dell’Esercito Meridionale tramontava l’ultimo tentativo del partito democratico affinché si impiegassero le forze popolari nell’unificazione del Paese. Aveva così termine il sogno della nazione armata e del cittadino-soldato. Scrisse Garibaldi nelle sue memorie, partendo per l’esilio di Caprera: “La mia prima dimanda era quella del riconoscimento dell’esercito ch’io comandavo, siccome parte dell’Esercito Nazionale, e fu un’ingiustizia non concederlo”. La storiografia ufficiale del Risorgimento, di stampo monarchico, non li fece passare dall’ingresso principale, bensì da quello di servizio della storia, ottenendo che il loro apporto alla causa dell’Unità d’Italia venisse sminuito, relegato soprattutto nella memorialistica di impronta mazziniano-democratica e sostanzialmente dimenticato. La storia la scrivono i vincitori, del resto, e il processo unitario vide affermarsi la monarchia sabauda, non Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini. Eppure alla battaglia del Volturno, il primo ottobre del 1860, furono in oltre ventimila, agli ordini dell’Eroe dei Due Mondi, a sconfiggere le truppe borboniche superiori per numero e armamenti. E altri trentamila, in buona parte sudditi del Regno delle Due Sicilie, dopo lo sbarco dei Mille accorsero a ingrossare le file dei reparti schierati a difesa dei territori del Mezzogiorno strappati ai regi di Francesco II. Quei circa quaranta o cinquantamila uomini, cittadini-soldati provenienti pure dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Irlanda, dall’Ungheria e dal resto dell’Europa democratica, furono i precursori del volontari della libertà accorsi da mezzo mondo in Spagna, dall’estate del 1936, per difendere la Repubblica.