la Repubblica, 20 maggio 2024
Uno studente su cinque costretto a lavorare per pagare l’università
«Ho fatto la cameriera, la lavapiatti, la caregiver, ho guadagnato meno di 5 euro l’ora, ma ne ho bisogno: la mia famiglia non può sostenermi, mi pago da sola la spesa, i libri, la stanza in affitto a Viterbo dove gli alloggi studenteschi son pochissimi e io non ho borsa di studio». Stella, 25 anni, fuorisede a Biologia, è una di quelle che studiano e lavorano. Meglio: lavorano per studiare. D’altronde se tra tasse, mensa, materiali, bus, sport e un letto, la vita universitaria costa tra 9 mila e 17 mila euro l’anno, chi poggia su spalle fragili in famiglia come fa? «L’anno scorso mi pagavo gli studi lavorando tutti i giorni senza dare nemmeno un esame – dice ancora Stella – Adesso 3 o 4 volte a settimana servo al ristorante o aiuto una signora in difficoltà. È tutto in nero ma i soldi mi servono e per quella donna sono una lucina nel buio della sua depressione».
Né «choosy» né «bamboccioni» – sfortunatissime definizioni di vecchi ministri – sono almeno 365 mila gli studenti lavoratori che si dichiarano tali, uno su cinque, mai così tanti dal 2008. Pochi quelli che chiedono la carriera accademica da lavoratori che almeno evita di finire fuori corso. E fanno di tutto, commercio e ristorazione in cima, e al tempo stesso nulla che abbia a che fare coi loro studi. «Eccomi: sono part time a chiamata in una catena di fast food e intanto studio Scienze storiche alla Statale di Milano, voglio fare il ricercatore, vincere un dottorato. Purtroppo o per fortuna ho il diploma all’alberghiero, quello giusto per fare altro...», scherza Federico Azzalin Burzio, 22 anni. Riccardo Cirillo, 20 anni, è abruzzese, iscritto a Scienze e tecniche psicologiche a Perugia: «Volevo indipendenza economica senza gravare sui miei». Fa il gelataio, «qualche volta pago le bollette, i trasporti, la spesa senza farmi mandare i soldi».
Ma lavorare non è sempre una libera scelta, anzi «spesso è un cammino obbligato per le difficoltà economiche e le carenze del diritto allo studio: solo il 40% potrebbe permettersi l’università senza un impiego», commenta Camilla Piredda che per l’Udu, con Cgil e Fondazione Di Vittorio, ha lavorato a un’indagine sugli studenti lavoratori. «In casa non si è mai stati troppo bene, ci arrivavano i pacchi dalle parrocchie, qualche assegno di papà», racconta ancora Federico. «Per pagare una stanza doppia da 320 euro al mese facevo il cameriere sui Navigli, full time,guadagnavo bene ma i soldi arrivavano quando volevano, la sera tornavo alle due e la mattina correvo all’università. Non potevo più affrontare gli studi così spompato. Ora sto in una catena di fast food, prendo molto meno ma voglio laurearmi. Molte imprese pretendono di avere lavoratori e non studenti lavoratori, eppure sanno chi hanno assunto».
Già, le condizioni. La chiamata arriva la mattina mentre gli altri vanno a lezione, il weekend invece di uscire o studiare, la sera invece di dormire. E infatti 6 su 10 hanno enormi difficoltà a frequentare le lezioni, più della metà non ce la fa a stare in regola con gli esami. «È un circolovizioso: devo lavorare di pi ù per pagarmi l’università ma se lavoro di più ho meno tempo per studiare», ragiona Luca Spanò, 23 anni, al quarto anno di Scienze storiche e cooperazione internazionale. «Ho chiesto la carriera part time, do esami da non frequentante, la media è buona ma vado a rilento. Se lavori tutto il weekend, il lunedì stai ko».
Come il 67,4% dei coetanei, Luca vive a casa coi suoi. Solo che a casa sono in 7, fratelli, genitori, nonni, il salotto è una camera da letto. «A 18 anni mamma mi disse: se vuoi fare l’università pagatela da solo». Ha fatto il cameriere, l’addetto alla sicurezza nei musei, il banconista, lo stagista retribuito dalla Regione: «40 ore a 800 euro, una follia, non c’è rispetto dei contratti, ti fanno lavorare al posto di un assunto e ti chiedono di recuperare i giorni di malattia. Nessuno conosce i propri diritti».
Quando arrivano i soldi però si capisce al tatto che sono pochi. Ernesto, 23 anni, studia Scienze dell’amministrazione e dell’organizzazione alla Federico II di Napoli, ha trovato lavoro in una escape room, va a casa all’una ma lo pagano onestamente e lo trattano bene. «Prima ero addetto al customer care per una multinazionale, un part time mascherato da cococo a chiamata, quasi tutti i weekend, per meno di 5 euro l’ora». Alessia Galletta, 20 anni, lavora da quando ha scelto Tutela e benessere ambientale da fuorisede: «Cameriera dal lunedì al venerdì, 10 ore al giorno, pagata 5,25 euro l’ora ogni duegiorni, tutto in nero. Ho smesso quando hanno cominciato a levarmi i soldi delle mance. Cerco altro ma le offerte sono sempre così, non so più se il gioco vale la candela».
I contratti, quando ci sono, sono a tempo, interinali, a chiamata, part time involontari. Michelangelo ha 21 anni, viene da Latina, a Roma studia Scienze politiche ed è dipendente di un’agenzia interinale che fornisce camerieri extra agli alberghi con un contratto a somministrazione, sono stati i primi a metterlo in regola. «Fino a poco fa facevo il cameriere a San Lorenzo, dalle 17.30 alle 2.30 di notte per 60 euro. Non mi davano neanche la cena, me la dovevo comprare da solo e mangiare tra una consegna e l’altra». Non c’è solo da reggere il ritmo dello studio ma pure da fare i conti con stress, insonnia, ansia, paura di fallire davanti ai prof. E allora perché? «Vengo da una famiglia normale che mi aiuta come può, ma non basta – risponde Michelangelo – Chi sta peggio di noi all’università non ci va nemmeno».