Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 18 Sabato calendario

Gli avvocati nella Rivoluzione francese

Avvocati in prima linea       La Rivoluzione francese, come si sa, è stata opera della borghesia. Tra le diverse figure professionali che ne facevano parte l’avvocato ha indubbiamente svolto un ruolo importantissimo. A conferma di ciò basta dare uno sguardo alla composizione dei diversi organi parlamentari che si susseguirono in Francia tra il 1789 e il 1795, dall’Assemblea Nazionale Costituente all’Assemblea Nazionale Legislativa, dalla Convenzione Nazionale al Direttorio: la parte più cospicua dei loro membri fu costituita proprio dagli uomini di legge, principalmente avvocati seguiti dai procuratori, dai notai e dai magistrati. Il motivo o meglio i motivi di questa presenza furono fondamentalmente tre e tutti connessi alla necessità di dare vita a un mondo nuovo capace di sostituirsi all’Ancien Régime: creare istituzioni rinnovate; produrre leggi moderne; tenere dibattiti volti alla conquista del consenso pubblico o meglio della maggioranza di coloro i quali esercitavano il diritto di voto.
La figura dell’avvocato in realtà incominciò a emergere prima dello scoppio della Rivoluzione quando ebbe inizio la stesura dei celebri Cahiers de doléance (in italiano “Quaderni di doglianze”) in cui le assemblee incaricate di eleggere i deputati agli Stati Generali, l’organo di rappresentanza delle classi sociali della Francia di fine Settecento, annotarono, grazie al supporto di questo professionista, tutto ciò che nel Regno non funzionava ed era profondamente inviso al popolo, in particolare il sistema fiscale e i privilegi nobiliari ed ecclesiastici. La figura dell’avvocato si andò rafforzando parallelamente all’evolversi della Rivoluzione tanto da diventarne il depositario degli ideali e l’artefice degli eventi: la sua professionalità era infatti richiesta per cancellare le vecchie leggi, formulare quelle nuove, abbattere privilegi secolari, confutare le opposizioni al nuovo corso storico.
L’ambito storico in cui la figura dell’avvocato emerse in tutta la sua importanza fu l’Assemblea Nazionale Costituente, formatasi nel 1789 per iniziativa dei rappresentanti del Terzo Stato che erano tutti o quasi tutti di estrazione borghese. In questa assemblea parlamentare, molto diversa dai parlamenti dell’Ancien Régime, gli avvocati furono veramente tanti e a loro si devono la formulazione della celebre Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, l’abolizione dell’assolutismo e dei vetusti diritti feudali, la confisca dei beni della Chiesa cattolica, la stesura della Costituzione Civile del Clero e della Costituzione del 1791 la quale prevedeva, tra l’altro, la suddivisione dei tre poteri dello Stato. Parallelamente all’attività giuridica gli avvocati iniziarono ad occuparsi anche di politica, rivolgendosi con le loro arringhe e i loro discorsi non più a questa o a quella classe sociale bensì all’intera Francia.
Il legame con l’Ancien Régime         La figura dell’avvocato come protagonista della Rivoluzione francese nacque in realtà nell’Ancien Régime, dove insieme alla figura del magistrato occupava una posizione particolare. Com’è noto nella Francia nei decenni precedenti lo scoppio del moto rivoluzionario c’erano molti Parlamenti, vere e proprie corti sovrane che, oltre a detenere poteri politici e amministrativi, esercitavano una parte della sovranità monarchica attraverso il cosiddetto diritto di registrazione in base al quale esse avevano la facoltà, appunto, di registrare tutte le leggi emanate dal sovrano prima della loro applicazione, in piena indipendenza reciproca e in totale autonomia nei confronti del re medesimo. Questi organismi progressivamente erano diventati roccaforti dei privilegi aristocratici tanto che vennero spazzati via dalla Rivoluzione, ma nel periodo dell’Ancien Régime non furono mai succubi del potere monarchico: i magistrati che li componevano infatti, pur amministrando una giustizia lenta, costosa e anche crudele, conservarono sempre una loro fiera e orgogliosa indipendenza. E il ceto degli avvocati, nato nel Medioevo, manifestò ininterrottamente una profonda solidarietà nei confronti di questi magistrati dinanzi all’arroganza e agli abusi del potere monarchico, definendo senza mezzi termini arbitrarie e dispotiche talune leggi che, comunque, per i suoi membri erano strumenti di lavoro, scendendo addirittura in piazza contro la promulgazione di leggi ritenute particolarmente inique oppure mettendo in atto la cosiddetta protesta del silenzio consistente nel rifiutarsi di svolgere la professione, in sostanza una sorta di sciopero ante litteram.
Il legame tra uomini di legge dell’antico regime e uomini di legge della Rivoluzione venne messo in evidenza da Alexis de Tocqueville nel suo celebre saggio L’Ancien Régime et la Révolution, un’opera storiografica straordinaria dove l’autore ribalta la visione del moto rivoluzionario del 1789 come evento di rottura assoluta con il passato, ponendone invece in evidenza la continuità tra l’ordinamento giuridico della Francia prerivoluzionaria, quello messo in piedi dalla Rivoluzione e quello delle successive epoche napoleonica e postnapoleonica. Redatto negli anni Cinquanta dell’Ottocento durante il regime autoritario di Napoleone III, il saggio di Tocqueville a proposito dei parlamenti e degli avvocati dell’Ancien Régime contiene parole veramente lusinghiere: «Eravamo diventati uno Stato retto da un governo assoluto per le sue istituzioni politiche e amministrative, ma eravamo rimasti un popolo libero per le nostre istituzioni giudiziarie».
E ancora: «Io non conosco, nella storia dei popoli liberi, nulla di più grande di ciò che avvenne allora in quella occasione e tuttavia ciò accadeva nel XVIII secolo, accanto alla corte di Luigi XV (…). Si avrebbe torto a credere che l’antico regime fosse un tempo di servilismo e di mancata indipendenza. Vi regnava molta più libertà che ai nostri giorni (…). Pur ridotta e deformata, la libertà era ancora feconda (…). Grazie ad essa si formarono quelle anime rigorose, quei genii fieri e audaci che vedremo apparire e che faranno della Rivoluzione francese l’oggetto, a un tempo, dell’ammirazione e del terrore delle generazioni che verranno».
La fase della Rivoluzione         La figura dell’avvocato conobbe un grande balzo in avanti in seguito all’ampia diffusione che le idee illuministiche ebbero in Francia negli ultimi decenni del XVIII secolo, idee che, com’è noto, si proponevano di riformarne concretamente il sistema politico, economico e sociale. Il pensiero di Montesquieu, di Voltaire e di Rousseau, tanto per citare i massimi esponenti dei lumi, influenzarono profondamente il ceto degli avvocati dal punto di vista sia culturale che sociale: da un lato, infatti, la mentalità dei professionisti del foro si arricchì delle nuove istanze proprie del sapere illuministico mentre dall’altro lato accrebbe la loro sensibilità dinanzi ai problemi e alle sofferenze della gente comune. Tutto ciò determinò l’allargamento della professione di avvocato, che per secoli era stata appannaggio di una ristretta élite tanto da assurgere allo status di nobiltà di toga, a fasce più ampie della società francese parallelamente all’affermazione della piccola e media borghesia.
Alla base del rinnovamento della professione di avvocato vi furono da un lato l’illustre tradizione forense francese, dall’altro lato l’arte oratoria che attingeva all’antichità classica – la Grecia di Demostene e la Roma di Cicerone in particolare – ma che nello stesso tempo si alimentava di tutto ciò che stava accadendo in Francia. Di conseguenza si generò, almeno parzialmente, una sorta di contaminazione tra la figura e l’ambito lavorativo propri dell’avvocato da una parte e l’immagine nonché l’attività propri del politico dall’altra. E da questa professione, così culturalmente rinnovata e così socialmente allargata, vennero fuori tanti protagonisti della Rivoluzione, la quale rappresentò per molta gente sostanzialmente sconosciuta – Robespierre e Danton in testa tanto per fare i nomi più famosi – l’occasione propizia per mettersi in luce e diventare celebre fondendo sapere giuridico e capacità oratorie e passando così agevolmente dalle aule del tribunale a quelle delle assemblee parlamentari e dei club rivoluzionari.
Accanto alla figura eroica dell’avvocato dedito alla politica ci fu anche la figura riservata dell’avvocato concentrato esclusivamente sull’elaborazione delle nuove leggi che la Rivoluzione volle dare alla Francia: creazione di una moderna amministrazione giudiziaria, riforma del diritto e del processo penale, abolizione della tortura, difesa dei meno abbienti, laicizzazione dello Stato e molto altro ancora, il tutto riassumibile in tre punti: giustizia gratuita amministrata da un solo potere, quello giudiziario; norme giuridiche e pene uguali per tutti; norme di diritto uniformi in tutta la Francia. Tra le leggi rivoluzionarie bisogna, comunque, comprendere anche quella dei sospetti del 17 settembre 1793 e quella del 22 pratile (10 giugno) 1794 che dettero inizio rispettivamente al Terrore e al Grande Terrore e nelle quali, è doveroso ricordarlo, la componente politica fu tragicamente dominante rispetto alla componente giuridica. Tutto l’enorme lavoro svolto dagli avvocati durante gli anni della Rivoluzione venne poi ripreso e rielaborato dalle successive leggi dell’età napoleonica.

Per saperne di più
AA.VV., Profilo di storia del diritto penale dal Medioevo alla Restaurazione, Torino, 2012
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
A. de Tocqueville, L’Antico Regime e la Rivoluzione, trad. it., Milano, 1996