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 2024  maggio 18 Sabato calendario

Il lavoro maledetto fino a Lutero


Aristotele sosteneva che gli esseri umani non devono perdere tempo a lavorare e neanche a formulare pensieri troppo razionali, perché la loro massima aspirazione deve essere la contemplazione. I primi cristiani definivano il lavoro come “un esilio dal Paradiso” nonché “una punizione dal peccato originale”. Nel corso dei secoli gli aristocratici di mezza Europa condividevano più o meno quest’idea. «Bisogna aspettare il Rinascimento e anche la riforma protestante perché venga rimosso l’antico stigma contro il lavoro», spiega Richard Robb, docente presso la School of International and Public Affairs della Columbia University. È sicuramente il più originale, a suo modo intrigante, fra i tanti dibattiti che animeranno il festival dell’Economia di Trento. Nel pomeriggio di sabato 25 maggio discuteranno di “Denaro e religioni”, oltre a Robb, il presidente del Consiglio europeo dei leader musulmani, l’Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, e Federica Miglietta, economista dell’Università di Bari.Perché aspettare il Rinascimento, cioè la metà del quindicesimo secolo, perché al lavoro venga riconosciuto il ruolo che merita nell’organizzazione sociale? «Intanto perché fu un’epoca di boom economico dopo il buio del Medioevo, dall’Italia alla Francia, senza il quale le opere d’arte e d’architettura che ci restano, frutto di cospicue commesse di principi e papi, non sarebbero state fatte. Poi perché alla diffusione del benessere si accompagnò un certo illuminismo “mentale” e sociale», spiega il professor Robb. «Ma soprattutto perché nello stesso periodo si diffondeva il pensiero del teologo tedesco Martin Lutero (morto nel 1546 ),il fondatore del protestantesimo, che rovesciando del tutto la visione definì il lavoro “una chiamata divina” e un’attività morale che trasformava la natura in un mondo fatto non solo per gli animali ma anche per gli umani. Calvino, pochi anni dopo, andò ancora oltre e definì il lavoro produttivo una forma di preghiera, sostenendo che il benessere materiale e la speranza di salvezza tendevano a coincidere: sviluppare le proprie competenze equivaleva a gratificare Dio».Insomma, di religione è intrisa la materia lavoro, e viceversa. Alla fine del XVIII secolo, aggiunge Robb, Adam Smith cominciò a cercare una via di mezzo, un bilanciamento fra visioni così estreme: «Ci riuscì però solo in parte. L’approccio di Smith, che definiva il lavoro né buono né cattivo in sé ma esclusivamente finalizzato al raggiungimento volontario di un fine economico, pose le basi per un’eccessiva presenza di esso nelle nostre vite: ci strangola quasi senza che ce ne accorgiamo». Né la soluzione proposta da Marx, la proprietà dei mezzi di produzione degli stessi lavoratori, «ha funzionato ovunque sia stata applicata». Finalmente, ai giorni nostri, è arrivato Edmund Phelps, il capofila dei neo-keynesiani, che ha trovato un punto d’equilibrio «brillante», come lo chiama Robb (che a sua volta si definisce “economista ortodosso”): imprenditori e lavoratori insieme per un’economia dinamica, in grado di prendere dei rischi e quindi di promuovere l’innovazione. «Con un mondo del lavoro giustamente retribuito, aperto a tutti e a tutte le competenze: a chi vuole diventare programmatore di Intelligenza Artificiale come a quanti ci mettono muscoli, capacità di relazioni umane, competente pratiche. Lavoratori non alienati dal lavoro perché il lavoro è l’espressione della loro creatività». E forse, azzarda Robb, non è estraneo a questa maturazione che la porzione di americani convinti che la religione è importante sia scesa negli ultimi dieci anni dal 56 al 41%. Phelps, classe 1933, è atteso a sua volta a Trento. -e.occ.