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 2024  maggio 18 Sabato calendario

Intervista a Cristiano Malgioglio


L’asilo a Sydney.
«Parlavo l’inglese con un accento orribile. Casa modesta, due genitori che mi amavano alla follia, le feste della domenica tra emigrati, si suonava, si ballava, poi siamo tornati in Italia. Dell’Australia mi ricordo tanti conigli. E i cancuri». La pronuncia è quella inconfondibile (e imitatissima) di Cristiano Malgioglio, che ne ha fatto un’arma di simpatia di massa («Se mi prendono in giro non mi offendo, quando scrivo canzoni però le scrivo bene»). Si rattrista. «Ma era tanto tempo fa. Non mi piace guardarmi indietro, il passato mi procura dolore. Mi mancano i miei, gli amici che ho perso».
Un ragazzino particolare.
«Una specie di Cher. Sempre stato avanti. Mi trasferii a Genova da mia sorella Francesca, compravo abiti coloratissimi, da donna, che mi facevo riadattare dalla sarta. Però i compagni di scuola mi adoravano. Non ho mai conosciuto l’omofobia, non so cosa sia, forse perché mi comporto in un certo modo, senza urtare la mentalità delle persone. Ma ho aperto molte porte».
Si presentò a casa di Fabrizio De André.
«Un testone di capelli ricci, jeans a zampa, un giubbotto con due ali d’aquila sulla schiena, ero proprio bello. Zatteroni altissimi, me li facevo rialzare dal calzolaio. Avevo il complesso di essere basso, avrei voluto 15 cm in più, Mina mi chiama v a “tacco d’oro”».
Suonò al campanello.
«Finalmente mi fece entrare: “Ecco la più grande showgirl del mondo”. Gli feci sentire le mie prime canzoni, orrende. Fu generoso. Mi presentò il direttore della Ricordi. “Sei talmente strano che gli piacerai”. Mi pagò il biglietto del treno per Milano e mi diede dei soldi. Accettai, ne avevo bisogno. Per guadagnare smistavo telegrammi all’ufficio postale di Quarto. I miei non me ne davano perché non volevano che facessi lo spettacolo. “Finirai all’inferno”, ripeteva mamma. Presi alloggio in una pensione a una stella, 5 lire a notte, piena di prostitute, che ne sapevo».
Poi con Faber si sdebitò.
«Gli presentai Dori».
Andò pure da Luigi Tenco.
«Abitavo a due palazzi dal suo. Viso dolce e pulito, si metteva al piano e mi guardava incuriosito».
Intraprendente in amore?
«Un imbranato. C’erano ragazzi che mi facevano la corte ma non provavo attrazione fisica per nessuno, ero come asessuato. Soffrivo di acne, mi vergognavo a uscire, restavo a casa ad ascoltare Gino Paoli».
Primo bacio a chi?
«A una ragazza. Avevo 19 anni. Fece tutto lei. Tenni la bocca chiusa, con la lingua mi faceva schifo. Non provai niente, anzi mi fece senso».
La volta buona.
«A 21. Con Alejandro, marinaio portoghese di 25. Un colpo di fulmine, ero innamorato folle, durò un paio d’anni. Mi insegnò a baciare. Ho scoperto che mi piace. Basta che uno abbia la bocca fresca e non abbia mangiato l’aglio».
Lo portò a casa?
«No, ai miei non ho mai fatto conoscere nessuno. Io non dicevo e loro non chiedevano. Studiavo, avevo sani principi. Li amavo tanto. Quando mamma è mancata le ho scritto una lunga lettera e gliel’ho messa dalla parte del cuore. Per quattro anni non sono riuscito a comporre una canzone».
Un altro marinaio.
«Philip, americano. Bello come il sole, conosciuto a La Spezia. Mise un 45 giri di Dusty Springfield nel mangiadischi e mi sussurrò il titolo all’orecchio: I close my eyes and count to ten. Col mio inglese malandato cominciai a contare: “Uno, due, tre...”. Al dieci mi prese le labbra. Scoppiò il vulcano. Fu passione intensa, sangue e arena. Lo raggiungevo di porto in porto. Poi finì. Si è sposato, il primo figlio lo ha chiamato Cristiano jr».
Sempre fidanzati lontani.
«Ho avuto storie bellissime, in Italia un paio, brevi. Mi stanco facile, non sopporto la gelosia, la pesantezza. Vivo meglio le relazioni a distanza. In Brasile quando lavoravo con Roberto Carlos, il dio della musica, conobbi Wando, un bel chitarrista. Però non ho mai dormito a letto con un uomo in vita mia».
No?
«Uh, per carità, meglio solo, non mi va di avere accanto uno che si gira, che russa, già soffro d’insonnia, se non riposo mi vengono le occhiaie. Ognuno nel suo letto. Non si offendono, lo sanno prima».
Flirt a Cuba?
«Amore, non le basterebbero le pagine del Corriere per raccontarli. I cubani hanno la pelle ambrata, stupenda. L’isola è la mia seconda casa. Che emozione quando ho conosciuto Gabriel García Márquez, avevo una giacca multicolore, gli ho chiesto un autografo. “No, dammi il tuo indirizzo”. E mi ha mandato quattro libri con la dedica».
I testi che scrisse per Mina erano spinti, per l’epoca.
«C’è sensualità, erotismo, mai volgarità. Me lo disse anche Berlusconi: “Lei è tutto meno che volgare”. L’importante è finire è una grande storia d’amore, qualcuno ci ha visto un significato che non c’è. Pure mamma si scandalizzò: “Che schifezza hai scritto?”».
Mina non batteva ciglio?
«Per Ancora ancora ancora mi fece cambiare testo, non le piaceva. Mi misi a pensare mentre cuocevo due uova sode. Distratto, non misi l’acqua nel pentolino. Squillò il telefono. Era un mio ex. “Ma tu mi ami ancora?”, chiese. “Sì”. “Dimmelo ancora, ancora, ancora”. Fu un flash. Riattaccai e scrissi le parole in 3 minuti».
Non è stato rose e fiori.
«Ho preso tante porte in faccia, fatto sacrifici, ma amo questo lavoro, all’idea che un giorno dovrò lasciarlo non so cosa potrebbe succedere».
Maria De Filippi. Si sarebbe potuto innamorare di lei?
«Ma io sono innamorato, alla mia maniera. Maria è gioia, è famiglia, è meraviglia».
E poi?
«Carlo Conti è un fratello, Mara Venier una sorella, Simona Ventura pure. Silvia Toffanin un angelo, Iva Zanicchi la adoro, per Sophia Loren ho un amore viscerale, al primo incontro ho preso 60 gocce di coramina e gli sono svenuto tra le braccia».
La Vanoni non la salutò.
«Una volta, non so perché, all’inizio con Ornella eravamo molto amici. L’ho chiamata, di recente. Mi ha chiesto: “Tu fai ancora l’amore?” “Sì, certo”».
Qualcuno le ha spezzato il cuore?
«Tesoro, i cuori li ho spezzati io, ho sempre lasciato, forse per paura, poi, dopo tanto, mi pento».
Infedele?
«Sì, mi piace, ho tradito tanto, abbastanza, ma tradimenti innocenti, stupidi, per ripicca. Dopo ritorno, non sono mica Messalina».
Non si è sposato.
«Non ci ho mai pensato. Avevo pudore, se vedevo un film con i miei e c’era una scena d’amore mi imbarazzavo e mi allontanavo con una scusa. Ora non avrebbe senso. Per lasciargli la pensione? No, sono troppo libero, se sono triste prendo, parto e vado dove mi pare. Se mi fossi sposato e avessi avuto dei figli sarei stato apprensivo, meglio così».
Ha un fidanzato turco.
«L’ho incontrato nel 2020 al Gran Bazar di Istanbul. Lui passa e mi guarda. Penso: “Ammazza che bono”. L’ho rivisto per caso dopo una settimana alla fiera dei fiori. Si è fermato, abbiamo parlato. Il giorno dopo mi ha mandato un mazzo di tulipani bianchi in hotel. Mi sono detto: “E che me lo faccio scappare?”».
Comunicate come?
«Lui parla inglese, io uso il traduttore sul cellulare o mi spiego a gesti finché mi fanno male le braccia».
Quanti anni ha?
«Trentanove».
Accipicchia.
«E che me ne faccio di uno della mia età? Non è troppo giovane, non vuole andare in discoteca. Ma poi l’amore non è solo sotto le lenzuola. C’è pure quello, certo. Però è anche una carezza. Sono un bambino che non è riuscito a crescere, ho bisogno di tenerezza. Con lui mi sento coccolato, felice anche solo di due braccia che mi stringono».