Oggi, 18 maggio 2024
Biografia di Robert Redford
Robert Redford
sorriso da dentifricio e talento da vendere
1974 Lo chiamavano il “Gary Cooper degli anni Settanta”. Ma il protagonista
de La stangata e del Grande Gatsby non era solo un biondo di successo. Inquieto e un po’ bugiardo, anche sulla sua bellezza
L
ui si giustificava soltanto in parte: «Non che fossi un ritardato mentale, che non sapessi guardarmi attorno. Il fatto è che vivevo, senza sospettarlo, in una gabbia dorata». Così Robert Redford, che firmava la sua biografia sul numero 19 di Oggi dell’8 maggio 1974, si descriveva come un giovane rampollo della agiata borghesia statunitense con dimora avita a due passi da Hollywood: «Coccolato, vezzeggiato. Le migliori scuole, il tennis, l’equitazione. Avevo un cavallo tutto per me. Ignoravo che ci fosse la guerra, e non immaginavo ovviamente che esistesse anche “l’altra” America, quella degli slum, dei conflitti razziali, delle ingiustizie sociali. Ero fermamente convinto che tutto il mondo fosse simile al paradiso in cui sono nato e cresciuto. I primi dubbi in merito mi vennero quando fu il momento di andare all’università».
Il Redford “pentito” e consapevole aveva ormai 37 anni (è nato nel 1937) ed era all’apice del successo. Come spiegava il nostro settimanale nell’introduzione, sostenendo che l’attore preferiva i lunghi monologhi alle interviste: «Non gli hanno dato l’Oscar. Era il favorito “numero uno”. Comunque, con o senza Oscar, Robert Redford è l’attore del momento, l’uomo nuovo di Hollywood, il “Gary Cooper degli anni Settanta”, secondo il parere degli addetti ai lavori. Il 1973, per Redford, è stato un anno d’oro, quello della consacrazione definitiva. Ha interpretato tre film di grande successo: La stangata, Come eravamo e II grande Gatsby». Bello e non del tutto sincero. Raccontando i suoi scarsi risultati all’Università del Colorado, dov’era stato spedito per diventare avvocato, Redford annotava: «Mi ero sistemato al Greenwich Village e vivevo tra gli “sfaticati”. Man mano che tardavano i risultati positivi all’università, diminuivano gli assegni da casa. Papà cercava di pungolarmi con l’unica arma a sua disposizione. E io mi arrangiavo. Al Village avevo conosciuto una modella, Lola von Wagenen (che sarebbe poi diventata mia moglie). Fu Lola a risolvere i miei problemi finanziari, trovandomi lavoro come fotomodello. Ero aitante, atletico, fotogenico. Così finii sui muri di tutta l’America, reclamizzando dentifrici, tenute sportive, schiume da barba e via dicendo. Redford senior, a questo punto, mi tagliò definitivamente i viveri. Ma io, nel frattempo, avevo cominciato la mia escalation: dai muri agli short televisivi, dalla pubblicità alle particine nei telefilm. Intanto mi ero sposato con Lola. Mi sentivo arrivato, anche se a pensarci bene non avevo un’idea precisa su quello che avrei fatto». L’idea venne ad altri: un agente teatrale gli offrì un contratto per lavorare a Broadway. Lola, poi, lo sosteneva. Così arrivò pure il cinema e, nel 1966, con La caccia, un ruolo accanto a Marlon Brando e Jane Fonda. Ma, in effetti, nonostante il successo, per esempio in film come A piedi nudi nel parco (1967), ancora a fianco di Fonda, fu solo con Butch Cassidy (1969), con Paul Newman (diventato suo amico), che arrivò la fama internazionale. Nel 1974, all’epoca del “monologo” per Oggi, Redford aveva recitato anche in Corvo rosso non avrai il mio scalpo e Il candidato, entrambi del 1972. Eppure, gli avevano detto che il tempo dei “belli” era finito, che andavano i volti alla Jack Nicholson e che lui sembrava “una réclame di un dentifricio”.
Ci giocava un po’ Redford, con la storia della bellezza. Sapeva di possederla, ma poi sospirava: «Non capisco perché le donne impazziscano per me. Se c’è un tipo ordinario, squallido e bruttino quello sono io». E alla fine giocava pure a fare la vittima: «Al punto in cui sono arrivato, ormai ho una sola alternativa: conservare il ruolo di “numero uno”, oppure crollare. (...) A volte, quando mi assale la malinconia, penso che potrebbe davvero aver ragione mio padre. Non si stanca mai di ripetermi che ho gettato al vento il mio talento, che ho sacrificato un avvenire luminoso nei tribunali e in politica per “fare il saltimbanco”».