Oggi, 18 maggio 2024
Parla Luca Josi
Mattarella e il ballerino
Era un enfant prodige della politica.
Poi si è dato alla tv (cinque Telegatti).
Ma gli anni cruciali Luca Josi li ha passati
a ideare le pubblicità di un colosso
della telefonia. Un successo clamoroso.
Nato da due intuizioni. Una è Mina
di Alessandro penna – foto di Ada masella
Dalla passione per la politica Luca Josi, 57 anni, ha ricavato un’ustione in miniatura – souvenir di una scaramuccia giovanile con l’allora missino Francesco Storace, che gli spense una sigaretta sul polso – e qualche schizzo della pioggia di monetine che lavò via la prima Repubblica: quella che a Roma travolse Bettino Craxi fuori dall’hotel Raphaël, giusto 31 anni fa (nella foto-reperto Josi è il ragazzo alla sinistra del leader socialista). Comprensibile che abbia voluto cambiare mestiere. Alla fine degli anni Novanta fondò la Einstein Multimedia e si mise a produrre programmi televisivi di largo successo (5 Telegatti): tra gli altri, Passaparola e Sarabanda. Otto anni fa si reinventa pubblicitario: diventa il capo della comunicazione di Tim. A quella avventura Josi ha dedicato un libro: Il lustro del lustro (Rizzoli), dove il primo “lustro” è un’unità di valore (con lui alla guida, la notorietà del brand si è moltiplicata) e il secondo un’unità di tempo (cinque anni).
Nel 2016 si dà alla pubblicità senza avere però alcuna esperienza.
«La formazione delle classi dirigenti della Prima Repubblica era talmente complessa – io divenni il segretario del Movimento dei Giovani socialisti – che mi diede gli strumenti per fare dieci mestieri diversi. La dimensione del potere mi annoiava, ero più interessato alla parte della comunicazione delle idee. Ho collaborato alla stesura dei programmi elettorali e di governo, e di alcuni degli ultimi discorsi di Craxi. Quella socialista è sempre stata una scuola importantissima. E infatti ha prodotto grandi comunicatori come Guido Mazzali, cui si deve il claim “Chi beve birra campa 100 anni”».
Come passa dal sogno di cambiare la società a quello di inondarla di prodotti di telefonia?
«Presi subito coscienza di non essere indispensabile all’umanità. Chi fa politica deve invece sentire dentro di sé un fuoco che gli permetta di convincere gli altri che la propria presenza è assolutamente necessaria. Io ero più innamorato di Craxi che della politica».
L’avventura in Tim cominciò con uno spot la sera del 31 dicembre del 2016.
«Presi quello slot, che è un po’ il Superbowl istituzionale del palinsesto televisivo: giusto prima del discorso a reti unificate del presidente della Repubblica Sergio Mattarella».
I brand giganteschi di solito cercano testimonial della stessa taglia. Lei invece…
«Optai per uno scarto logico: usare la forza dell’azienda per creare dal quasi-nulla un personaggio. Presi il ballerino tedesco Sven Otten: aveva già macinato grandi numeri sul web, ma era sconosciuto ai più».
Come lo scovò?
«Fu la mia compagna Allegra a trovarlo. Cercavamo la musica, lei mi mandò il link di un pezzo di electro-swing di quattro anni prima (All night, del dj austriaco Parov Stelar, ndr) e aggiunse: “Anche il ballerino del video non è male”. Quella mail la stampai e la appesi in ufficio. L’idea era: prendi qualcuno che abbia talento e aggiungici la potenza di distribuzione di un brand come il nostro. Ne nacque un tormentone che è durato cinque anni. E siccome ogni lievito va rinfrescato, col tempo lo arricchimmo di cose nuove: Spiderman e Topolino che ballano con Sven; Federica Pellegrini, Carolina Kostner».
Com’è Otten quando non balla?
«Una persona di una dolcezza straordinaria, a cui darei le chiavi di casa. E ha una storia coerente con lo spot: era un nerd che stava ingrassando e decise di scaricare dal web dei tutorial di ballo per dimagrire. Per velocizzare il processo, chiese al padre di “aumentare” la connessione di casa. Cominciò a girare dei filmati in cui si esercitava nella sua cameretta, che divennero virali».
Dopo la messa in onda che cosa successe?
«Il primo messaggio mi arrivò da Mina, che è l’assenza più presente del nostro mondo».
E lei alla scoperta di un nuovo talento aggiunge la consacrazione di un mito: Mina, appunto.
«Ci conosciamo da tanti anni, suo figlio Massimiliano Pani è uno dei miei più cari amici. La scelta di puntare su di lei si fa quasi obbligatoria quando diventiamo sponsor unico del Festival di Sanremo, che ha un valore commerciale unico al mondo: per cinque giorni consecutivi, per cinque ore consecutive, calamita oltre la metà del Paese, schierata in formato famiglia. Se lo avesse saputo Fidel Castro, avrebbe provato a far qualcosa di simile a Cuba».
Come ha convinto Mina a cantare All night, un brano di musica elettronica?
«Lei decide secondo criteri imperscrutabili ai più, è dotata di capacità d’interpretazione della realtà avvantaggiata. Mina è Mina: rinasce continuamente con pubblici nuovi, senza perdere quelli che l’hanno incontrata prima. Come tutti i classici, si stacca da un tempo e diventa lei il tempo».
Con Gerry Scotti vi siete sfiorati anche ai tempi dei giovani socialisti: che politico sarebbe stato?
«Ottimo, perché aveva passione. Poi alla fine uno deve scegliere tra i talenti. Aggiunga che, in tv come nel mondo dell’editoria visiva, tra pensare e realizzare un progetto passa poco tempo. In politica trascorrevamo mesi e anni a discutere di cose che poi magari non riuscivano ad “atterrare”. Credo che questa discrasia abbia lacerato sia me sia Gerry».
Lei ebbe anche l’intuizione di arruolare i Måneskin prima che esplodessero davvero.
«Mi “prenotai” la sera delle audition a X Factor: ero sul divano di casa, mi procurai il numero del loro manager, ma mi venne detto che avrei dovuto aspettare la fine del programma. Visto che loro non vinsero (arrivarono secondi, ndr), pensai a un claim col nostro logo: “Secondi a nessuno”. Poi rinunciai per rispetto del talent show».
Perché ha lasciato la Tim?
«Cinque anni sono un tempo immenso. Quella dimensione manageriale ti toglie il tempo di riempire il serbatoio. Mi sono rimesso a scrivere fiction (un progetto importante lo stiamo costruendo proprio con Massimiliano Pani), e concesso il tempo di studiare. Sono la “capra” della mia famiglia, ho nonni con tre lauree, io non ne ho presa nemmeno una».
Da pubblicitario: Chiara Ferragni è finita?
«È stata così brava a inventarsi una volta che potrebbe reinventarsi una seconda».
La Meloni ha invitato gli italiani a scrivere “Vota Giorgia” sulla scheda delle Europee: è una buona idea?
«Denota la sua capacità di distinguersi. Certo poi la comunicazione va supportata da elementi materiali, i conti si fanno sulle cose reali. Ma chi, come lei, trascina un partito dal 4 al 30 per cento è un fenomeno. Ai miei tempi guadagnare anche un solo punto percentuale era considerato un capolavoro».