Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 17 Venerdì calendario

Il problema della diga di Genova

C osa succede a Genova per la diga del porto? I lavori vanno avanti?
«I lavori del consorzio PerGenova Breakwater, costituito da Webuild (40%), Fincantieri(25%), Fincosit (25%) e Sidra (10%), procedono a pieno ritmo – spiega Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild —. Tra una settimana, il 24 maggio, avverrà la posa del primo cassone sulla base della diga, un manufatto alto come un palazzo di 10 piani. La diga è un’opera complessa, parliamo di un cantiere in mezzo al mare per realizzare una struttura lunga 6 chilometri. Un cantiere dove c’è gente che lavora senza sosta dal mattino alla sera, sabato e domenica compresi, per costruire un’infrastruttura che consentirà di allargare il porto, garantendo così l’ingresso a navi lunghe 400 metri».
Una delibera dell’Autorità anticorruzione (Anac) ha sollevato una serie di rilievi sull’affidamento dei lavori.
«Per quanto riguarda la delibera dell’Anac, l’avvocatura generale dello Stato l’ha impugnata di fronte al Tar del Lazio, stabilendo la correttezza della procedura seguita per l’assegnazione del contratto e contestando l’erroneità delle argomentazioni dell’Autorità. Sul tema si esprimerà ora il giudice amministrativo. L’assegnazione del contratto per la diga è tra l’altro avvenuta in base a una normativa ad hoc varata dal Parlamento, in linea con le norme comunitarie, a seguito di una gara aperta a tutti. E il consorzio PerGenova Breakwater ha vinto dopo una competizione serrata, con l’offerta migliore e il prezzo più basso».
L’Anac contesta che nelle grandi opere le varianti, con conseguente aumento dei costi, sono ormai la prassi. Perché le varianti sono frequenti?
«Per una questione di progettazione rispetto allo stato dei luoghi. Spesso la progettazione non tiene conto delle difficoltà che si incontrano sul posto e si vorrebbe che i costruttori assumessero gli oneri, i rischi e i costi delle varianti senza essere pagati».
Nel caso di Genova cosa ha fatto aumentare i costi?
«Nel progetto dell’Autorità portuale i fondali non corrispondevano allo stato reale, poiché degradano alcune dozzine di metri in più rispetto a quanto indicato. Quel fondale va riempito e chi si assume il rischio di fare quel lavoro è corretto che sia pagato. Se, per esempio, aumenta il costo dei carburanti è pacifico che gli automobilisti paghino la benzina più cara, oppure continuano a pagarla sempre lo stesso prezzo? Nel caso del costruttore un bizzarro abito mentale legittima l’idea che i rincari siano a suo carico. Aggiungo un elemento: le varianti sono imposte dalla legge, se c’è una difformità rispetto al progetto deve essere riconosciuta, misurata e pagata».
Il contratto
L’assegnazione del contratto è avvenuta in base a una normativa ad hoc varata dal Parlamento, in linea con le norme comunitarie
Non si poteva risparmiare costruendo su fondali più bassi?
«Questa è una delle tante obiezioni. Ogni giorno qualcuno si pronuncia su questioni di elevata complessità tecnica, mettendo in discussione lavori, studi e analisi delle più grandi società di ingegneria».
Il progetto della diga di Genova è una grande infrastruttura del Paese e vale 1,33 miliardi. Lei si vedeva con il governatore Toti e il sindaco Bucci per discuterne. Cosa chiedevano?
«Negli ultimi anni a Genova abbiamo ricostruito il ponte in tempi record, lavorando fianco a fianco con le istituzioni della città. Chi amministra Genova e la Liguria ci ha sempre rappresentato le esigenze di una realtà che considera il porto un’infrastruttura vitale. E tutti dicono questo, non solo Toti e Bucci».
Ancora oggi non è imperdonabile farsi ospitare a Montecarlo e farsi pagare le fiche al casinò?
«Vorrei evitare di fare il censore o il moralista e credo che non si dovrebbe mai assegnare ai comportamenti poco etici una connotazione penale. Faccio questa riflessione non perché voglia difendere qualcuno, ma perché ci tengo ad avere uno Stato di diritto».
Esiste un caso Webuild dentro il governo. È così?
Le verifiche
Le varianti? È normale che ci siano, ma in caso di difformità rispetto al progetto devono essere riconosciute, misurate e pagate
«Certo che esiste un caso Webuild dentro il governo, esiste perché è il più grande gruppo di costruzioni italiano e rappresenta un asset per il Paese e per il governo. Noi non chiediamo favori a nessuno, non paghiamo nessuno, non abbiamo nessuna relazione o dipendenza dalla politica: partecipiamo a gare pubbliche europee e vinciamo. Webuild è un gruppo che cresce, lavora in cinquanta Paesi con oltre 87 mila persone e una filiera di 19 mila imprese. Un gruppo globale che realizza il 70% del fatturato all’estero. E a chi in Italia ci rimprovera di fare tutto, vale ricordare che il nostro 30% di fatturato rappresenta una quota del mercato domestico pari al 2%».