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 2024  maggio 17 Venerdì calendario

L’arma dello stupro

Le chiamiamo “marocchinate” perché i responsabili degli stupri in Ciociaria del maggio 1944, appartenenti al Corps expéditionnaire français (Cef), erano goumiers marocchini, soldati irregolari reclutati dall’esercito francese: si trattava di circa 7.000 effettivi, quasi tutti analfabeti, provenienti dalle montagne del Rif e dell’Atlante. Ma insieme a loro c’erano i 170 ufficiali e i 422 sottufficiali europei che li comandavano e che hanno assistito alle violenze senza fermarle. Parlare di “marocchinate” è un alibi ideologico, perché rinvia all’idea delle vergogne come frutto dell’inciviltà: ciò che accade durante la campagna d’Italia del 1943-45, prima e dopo i fatti della Ciociaria, è invece una modalità consueta della guerra, dove le donne dei popoli vinti pagano in quanto vinte e in quanto donne.
Ciò che distingue le “marocchinate” dalla prassi delle occupazioni militari, è solo la concentrazione temporale degli atti turpi.
Andiamo per ordine. Quando gli anglo-americani sbarcano in Sicilia, nel luglio 1943, vi è con loro un Corpo di spedizione francese che si riconosce nel governo in esilio del generale De Gaulle: a comandarlo, il generale Alphonse Juin, che prima è stato in Nord Africa a capo dell’armata coloniale del governo collaborazionista di Vichy, poi si è arreso agli americani e si è schierato con loro. Di questo Corpo fanno parte i goumiers (da goum, squadrone): abituati alla vita dura di montagna, sono destinati alle operazioni più rischiose. Le prime violenze si registrano in Sicilia, subito dopo lo sbarco: donne stuprate e saccheggi nelle case, soprattutto in quelle isolate nella campagna, con vari episodi segnalati in località dei Nebrodi occidentali, nel messinese. Altre violenze vengono denunciate in Campania, dopo lo sbarco del novembre 1943; denunce di stupri vengono presentate ai Reali Carabinieri di Aversa, di Maddaloni, di Santa Maria Capua Vetere, di Teano. Si tratta di episodi isolati, di cui le autorità alleate sono al corrente.
Le dimensioni mutano tragicamente dopo lo sfondamento del fronte a Cassino. Il 14 maggio le unità di goumiers, attraversando la zona apparentemente insuperabile dei Monti Aurunci, aggirano le linee difensive tedesche nell’adiacente valle del Liri e aprono la strada allo sforzo offensivo alleato su Cassino: è il preludio allo sfondamento della Linea Gustav e alla liberazione di Roma. A partire dal 15, vittoriose sul campo, le truppe del Corpo di spedizione del generale Juin si abbandonano a giorni di barbarie efferata: stupri, saccheggi, assassini, violenze. L’atmosfera è quella della distruzione delle città vinte, descritta nelle opere dei classici. A pagare i prezzi più alti sono le località di Esperia, Castro dei Volsci, Ausonia, Vallemaio, in provincia di Frosinone, e quelle di Lenola, San Felice Circeo, Roccagorga in provincia di Latina. In seguito alle violenze molte donne restano incinte, alcune abortiscono spontaneamente, altre ricorrono alle mammane, decine di bambini nati dalle violenze verranno accolti nell’orfanatrofio di Veroli (FR); non si contano i casi di contagi da sifilide o gonorrea. E non mancano casi di suicidi tra le vittime, sconvolte dall’esperienza subita.
Affermare che queste violenze siano state sollecitate dagli ufficiali francesi che comandavano i reparti è storicamente improprio: negli anni Sessanta è stato diffuso un presunto volantino in francese e arabo, nel quale il gen. Juin concedeva agli uomini “50 ore di carta bianca”, ma si tratta di un falso perché non è mai stato prodotto l’originale (e la maggior parte dei goumiers era comunque analfabeta). Tuttavia, è certo che il fenomeno non è stato fermato: incapacità di mantenere la disciplina o tacita connivenza? O l’una e l’altra insieme? Il dubbio resta.
Come sempre per i momenti più cupi della Storia, non esistono dati statistici certi: una relazione dei Reali Carabinieri del giugno 1944, riferita ai soli comuni di Ceccano, Morolo e Sgurgola, segnala 415 casi di stupro; nel 1952, in Parlamento, l’on. Maria Maddalena Rossi (Pci) denuncia 60mila violenze, assommando stupri, pestaggi e saccheggi. In ogni caso, si tratta di un fenomeno generalizzato, che coinvolge migliaia di donne offese. La storiografia ne ha parlato poco, per l’imbarazzo di ledere l’immagine degli “Alleati liberatori”. Lo ha fatto, invece, la letteratura con La Ciociara di Alberto Moravia, pubblicata nel 1957, negli stessi anni in cui le forze politiche riducevano il dramma a una sequenza fredda di cifre e di indennizzi, rimuovendo le vicende attraverso una trattazione burocratica.
Moravia propone l’argomento attraverso la figura di Rosetta, rifugiatasi con la madre nelle campagne del Frusinate dopo l’occupazione tedesca di Roma. Giovane inesperta educata all’innocenza, Rosetta viene violentata da un gruppo di soldati nordafricani: «Adesso lui mi stava addosso, io mi dibattevo con le mani e con le gambe, e lui sempre mi teneva fissa la testa a terra contro il pavimento». Il trauma scatena in lei un desiderio di autodistruzione, trasformandola in una donna disillusa che si concede a tutti gli uomini che incontra: l’esercito dei liberatori diventa in questo modo lo strumento per il sovvertimento della morale e di un’alienazione sociale e sessuale che – scrive Moravia – «si sarebbero prolungate nelle nostre anime molto dopo che la guerra fosse finita». —