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 2024  maggio 17 Venerdì calendario

Intervista a Elena Cattaneo. Parla del premierato


roma
Un modello costituzionale «che nel mondo non esiste», con un premier dominus della vita pubblica del Paese, in grado di controllare tutti gli organi di garanzia. Elena Cattaneo, farmacologa e biologa di fama internazionale, accademica dei Lincei e senatrice a vita dal 2013, guarda con preoccupazione alla riforma voluta da Giorgia Meloni che rischia di «smantellare un equilibrio costruito a fatica dai Costituenti» e, come Liliana Segre, parla di «aspetti allarmanti davanti ai quali non si può tacere».
Senatrice Cattaneo, nel suo intervento in aula, martedì scorso, lei ha lanciato l’allarme sul rischio che, con la riforma del premierato, il Parlamento diventi “ostaggio” del governo e non abbia più alcuna funzione di controllo dell’esecutivo. Da cosa nascono i suoi timori?
«Dal fatto che l’elezione diretta del presidente del Consiglio, così come proposta oggi, priverà i cittadini di una autonoma rappresentanza parlamentare. Infatti, eleggendo con un meccanismo unico premier e Parlamento, il rischio è che quest’ultimo, eletto sull’onda del primo, continui ad esistere solo a immagine e somiglianza del futuro premier, costantemente a rischio di essere sciolto per suo volere, smettendo di essere il luogo del pluralismo e della rappresentanza democratica delle istanze dei cittadini».
Lei ha sottolineato come proprio il Parlamento sia il vero grande malato delle istituzioni, con la funzione legislativa ormai totale appannaggio del governo. A quale tipo di situazione ci potremmo trovare davanti con l’approvazione della riforma?
«Il Parlamento malato si può e si deve curare, è un compito della politica. Ma, in 11 anni di Aula, man mano che i governi cambiavano, l’ho visto privato della sua funzione legislativa attraverso l’uso, divenuto ormai regola, di strumenti pensati dai Costituenti come eccezionali, penso all’insieme di decreti legge, maxi-emendamenti e fiducie. Per questo ho affermato che l’eventuale rafforzamento del presidente del Consiglio dev’essere accompagnato da misure che facciano da contrappeso ai suoi nuovi “superpoteri”. È una questione di equilibri istituzionali su cui si fonda la nostra democrazia».
La senatrice Segre, davanti al rischio di «uno stravolgimento profondo» del nostro sistema democratico, ha detto che non è possibile stare in silenzio. È la sua stessa preoccupazione?
«Sì, ci sono aspetti allarmanti per tutti, e quando li vedi e capisci non puoi tacere. Con il mio voto in Parlamento mi è capitato di sostenere o criticare provvedimenti proposti da tutti gli schieramenti, e anche a questo tema mi sono avvicinata senza preconcetti. Ma studiando i documenti e gli interventi di tanti costituzionalisti di diverse culture politiche è inevitabile concludere, quasi fosse un’equazione matematica, che con questa riforma avremmo un premier dominus del governo, con potere di vita e di morte sul Parlamento, in grado con la sua maggioranza di eleggere il presidente della Repubblica, i membri della Corte Costituzionale e degli altri organi di garanzia. Un “modello costituzionale” che nel mondo non esiste».
C’è stato un confronto tra voi due prima o dopo i vostri interventi?
«Con Liliana ci sentiamo spesso, condividiamo l’interesse per i giovani e il futuro e l’impegno pieno e totale nel nostro ruolo verso il Paese. Abbiamo promosso iniziative in comune. Capita di confrontarci anche sui temi che riguardano i lavori del Senato e avevamo condiviso l’intenzione di contribuire alla discussione sul premierato. Non conoscevamo le riflessioni l’una dell’altra. Partendo da percorsi e parole diverse siamo giunte comunque a conclusioni simili, come spesso ci succede».
La premier ha più volte sottolineato la necessità di approvare la riforma per dare stabilità ai governi che in Italia hanno sempre avuto vita breve a causa delle conflittualità tra i partiti. Crede che sia davvero questa la soluzione?
«Questa riforma non mi pare in grado di ridurre la conflittualità tra i partiti di eventuali coalizioni quanto, piuttosto, a rischio di mettere una “camicia di forza” quinquennale al Parlamento. L’uomo o la donna soli al comando e il depotenziamento del Parlamento non risolvono la litigiosità dei partiti nelle coalizioni. La soluzione all’instabilità va cercata mantenendo l’equilibrio tra forze e poteri, non sbilanciandolo ulteriormente. L’introduzione della sfiducia costruttiva, impedendo crisi extra parlamentari “al buio”, sarebbe uno strumento in grado di stabilizzare il sistema».
Il presidente Sergio Mattarella ha più volte ribadito, l’ultima volta pochi giorni fa, la grande attualità della Costituzione che nasce dalla lotta contro il nazifascismo. Esiste davvero la necessità di modificare la Carta?
«Non considero un tabù voler riformare la Costituzione. Gli stessi costituenti erano consapevoli che sarebbero state utili forme di razionalizzazione, penso all’Ordine del giorno Perassi del 1946 che riconosceva la necessità di disciplinare il sistema “con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità del governo”. Ma non si possono prendere quelle parole come autorizzazione a smantellare un equilibrio costituzionale costruito con fatica dai costituenti per sostituirlo con un “Premierato all’italiana” in grado di assoggettare a sé tutti gli organi di garanzia che fanno di questo Paese una democrazia».
Il premierato è inserito in uno scambio di desiderata tra i partiti di maggioranza che comprende l’autonomia per la Lega e la riforma della giustizia per Forza Italia. Che cosa ci racconta questo do ut des dello stato di salute della nostra democrazia?
«Il compromesso, in politica, è fisiologico, ma, quando l’oggetto sono i fondamentali della Costituzione, nessuno scambio è accettabile. Ciascun parlamentare, ciascuna forza politica dovrebbe valutare la riforma in “scienza e coscienza” per quello che è, non per convenienza immediata. Ogni riforma costituzionale è un pezzo di noi che trascende il presente, è un’eredità che lasciamo a chi verrà dopo di noi. E non ci sono patti, scambi e opportunismi che tengano».
Nella riforma è inserita tra l’altro l’ipotesi dell’abolizione dei senatori a vita un incarico riservato a chi, come lei, ha dato lustro al Paese. L’obiettivo sembra quello di liberarsi di figure indipendenti che possono far pendere la bilancia da una parte o dall’altra in occasioni importanti di voto. Cosa ne pensa?
«In realtà, storicamente, i senatori a vita hanno rappresentato un fattore di stabilità per i governi. E personalmente dubito che il Parlamento o la Repubblica italiana si troverebbero in condizioni migliori senza aver avuto personalità significative come la stessa Liliana Segre, o Rita Levi Montalcini, o Don Luigi Sturzo, Gaetano De Sanctis, Norberto Bobbio. Certo, ridurre il numero dei parlamentari ha aumentato il “peso specifico” del voto di cinque senatori non eletti: per questo ho presentato un emendamento a questa riforma che li esclude dalla facoltà di esprimere il voto di fiducia, in modo che le sorti del governo non possano dipendere da loro».
In politica è il momento dei partiti del leader, mentre la società appare sempre più distratta. Perché i cittadini sono così poco interessati alla politica in un momento in cui la politica cambia le regole in modo tanto radicale?
«Il corpo elettorale si innamora (e disamora) velocemente di chi propone soluzioni semplici a problemi complessi. Spesso, però, il prezzo a lungo termine di queste soluzioni popolari ma non lungimiranti lo paga la collettività vedendo diminuire diritti e benessere, con l’effetto di una sfiducia generalizzata nei confronti di tutte le istituzioni. Credo, invece, che si debba sempre spiegare che la complessità è la base della democrazia: le società “semplici” sono quelle dove uno comanda e gli altri non esistono». —