La Stampa, 17 maggio 2024
Dazi, chips e la lezione di Bismark
Nella seconda metà dell’Ottocento la Germania appena riunificata cominciò a inondare i mercati di prodotti a basso costo. Il principale sbocco era l’allora superpotenza mondiale, la Gran Bretagna, che governava su un quarto delle terre emerse e un quarto della popolazione mondiale. L’Impero britannico era anche il principale promotore del libero commercio e applicava scarse tariffe sui beni importati. Ma con il Merchandise Marks Act nel 1887 impose una prima limitazione all’import, con l’obbligo di specificare, ben in vista, il Paese di provenienza. I prodotti tedeschi erano considerati dai consumatori di qualità inferiore rispetto all’industria britannica e l’etichetta aveva il compito di frenare gli acquisti. Berlino fu costretta a massicci investimenti pubblici per migliorare il livello qualitativo. Con risultati impressionanti. Nel giro di due decenni l’etichetta Made in Germany diventò uno stimolo, non un freno. Il colpo finale arrivò nella cantieristica. All’inizio del Novecento la Germania varò il primo piroscafo più veloce di quelli inglesi, il Kronprinz Wilhelm. Arrivò al porto di New York con un gigantesco Made in Germany impresso sulle fiancate.
La sfida all’Impero britannico era all’apice e non finì bene. Anche se la storia di rado ha insegnato qualcosa alle classi dirigenti successive, siamo in una fase di studio delle potenze emergenti che insidiano quella egemone. I dazi imposti da Joe Biden all’industria “green” cinese hanno l’aria di far parte di queste dinamiche. Così come quelli sul comparto elettronico. Il Financial Times ha osservato con allarme come Pechino stia rapidamente scalando le vette dei superchips. Il produttore Smic potrebbe arrivare già quest’anno alla soglia dei 5 nanometri, appena un gradino dietro i leader mondiali taiwanesi. Quando Washington ha imposto le prime restrizioni, mirate a Huawei, rivale di Apple, si pensava che i cinesi non avrebbero superato la soglia dei 28 nanometri. Anche perché privi della tecnologia avanzata nella litografia, indispensabile a produrre i microchips più piccoli e potenti. Smic e Huawei sono invece riusciti ad adattare una tecnologia più vecchia, Duv, per aggirare il problema. E sarebbero già in grado di produrre a livello di 7 nanometri. Nuove sanzioni sono in arrivo, ma al massimo riusciranno a rallentare il processo. E già adesso il Made in China, come prima in Japan, o in Corea eccetera non è più sinonimo di bassa qualità.