il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2024
Pirati story: bottini e scalate sociali
I pirati hanno proliferato nei mari fin dall’antichità. La pirateria si riferisce al furto in mare, in cui i pirati attaccano altre navi e le derubano di beni di valore. La loro bandiera conosciuta come Jolly Roger, sia rossa che nera, raffigurante il teschio e le tibie incrociate, è stata un simbolo di morte e pericolo associato al diavolo.
(…)Durante l’epoca romana, le navi cariche di grano e datteri nel Mediterraneo venivano spesso attaccate dai pirati. La pirateria rimase un fenomeno diffuso anche nel Medioevo e successivamente prosperò nel periodo compreso tra il 1620 e il 1720, diventando il periodo d’oro (…). Nel corso del tempo, i governi delle potenze europee dell’epoca iniziarono a incoraggiare questi assalti alle navi e la raccolta di beni di valore. (…)
Nel primo Ottocento, i direttori della Compagnia delle Indie Orientali britannica (East India Company) organizzarono una massiccia campagna navale per porre fine alla pirateria nel Golfo Persico. Nel novembre 1819, una spedizione salpò da Bombay (oggi Mumbai) in India. Il compito era chiaro: si doveva risolvere la questione con i capi arabi della costa dei pirati. La “costa dei pirati” fu identificata nel tratto di costa dalla penisola del Qatar fino all’Oman. I capi arabi erano la confederazione tribale Al Qasimi – gli attuali emiri di Sharjah, Stato degli Emirati Arabi Uniti – che controllavano questa regione dalla città strategica di Ras al Khaymah, anch’esso oggi uno degli Stati degli Emirati Arabi Uniti. Le forze navali della Compagnia britannica inflissero una sconfitta agli Al Qasimi, ma gli effetti di questa vittoria furono temporanei. Gli Al Qasimi tornarono alle loro attività marittime, continuando ad attaccare le spedizioni mercantili della Compagnia delle Indie Orientali in tutta la regione del Golfo. Durante la prima metà del 1800, la flottiglia britannica fu la più grande spedizione marittima mai inviata dall’India occidentale al Golfo Persico. Essa era composta da tre navi da guerra della marina britannica. (…)
La Compagnia era perfettamente disposta a sostenere la pirateria, purché non influenzasse gli interessi commerciali britannici. Dopo la soppressione della rivolta di alcuni corpi militari di religione musulmana del 1857 in India (Great Mutiny), il governo anglo-indiano affittò sei navi da guerra dalla Royal Navy britannica per 70 mila sterline all’anno. Le navi dovevano essere impiegate in servizio costante ed esclusivo nel Golfo Persico, dove avrebbero svolto compiti di polizia e impedito ai capi locali arabi di rendere insicura la navigazione e il commercio con spedizioni piratesche. I costi di queste operazioni furono attribuiti interamente a carico dei contribuenti indiani. (…)
Venendo ai giorni nostri, i principali focolai della pirateria attuale includono il Golfo di Aden, oggi associato agli Houthi nello Yemen e ai più noti pirati somali, il Sud-est asiatico, il Golfo del Messico e il Golfo di Guinea, che ha registrato la maggior parte dei sequestri marittimi nel mondo. Le motivazioni alla base delle attività piratesche contemporanee rispecchiano le stesse problematiche socioeconomiche che hanno spinto gli uomini a intraprendere la via della pirateria per secoli. I pirati originano dalle fasce più basse dell’ordine sociale, offrendo opportunità a coloro che altrimenti non avrebbero alcuna via d’avanzamento. Si configura come una sorta di via d’uscita e di riscatto. (…)
Posizionato tra la penisola malese e Sumatra, lo Stretto di Malacca ha storicamente registrato significativi livelli di pirateria a causa della sua posizione strategica e dell’intenso traffico marittimo. Tuttavia, negli ultimi decenni, gli sforzi regionali e la cooperazione internazionale, come le pattuglie congiunte e gli accordi bilaterali, hanno contribuito a ridurre l’incidenza della pirateria in questa zona.
I numerosi e indiscriminati attacchi perpetrati dagli Houthi a navi commerciali e petroliere nello Stretto di Bab el-Mandeb, nel Mar Rosso, costituiscono il nucleo delle crisi internazionali coinvolgenti le rotte strategiche tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso – che rappresentano il 12% del commercio globale – e le relazioni tra gli Stati del Golfo, del Medio Oriente e del Corno d’Africa. Gli Houthi sono un gruppo armato prevalentemente sciita zaydita, originato verso la fine del Novecento nello Yemen, divenuto attivo in senso antigovernativo negli anni Duemila. Il gruppo ha dato vita a un’organizzazione armata autonominata “Partigiani di Dio” o “Gioventù Credente”. Il nome deriva dal fondatore Hussein al Houthi, ma il gruppo non presenta omogeneità interna. Dal 2020, gli Houthi controllano due terzi del territorio dello Yemen, dove risiedono circa 33 milioni di persone. Questo crea ostacoli ulteriori secondo il diritto internazionale per le definizioni di pirati, o meglio di corsari, di terroristi, ma anche di nuova forza politica che si contrappone alla leadership politica di Sanaa.
Lo Yemen confina a nord con l’Arabia Saudita e a est con l’Oman. Nonostante la presenza di giacimenti petroliferi e di gas naturale poco sfruttati, il Paese è uno dei più poveri al mondo. Le rimesse degli emigrati costituiscono il 40% del prodotto nazionale lordo, mentre le limitate infrastrutture e la persistente violenza ne ostacolano lo sviluppo. Nel 1839, l’espansione coloniale britannica stabilì una base commerciale nel porto di Aden, successivamente integrata con la creazione del Canale di Suez nel 1869. La regione meridionale della Penisola Arabica fu divisa tra l’area d’influenza britannica e l’area formalmente turca, poiché lo Yemen fu parte dell’Impero Ottomano fino al 1918. Negli anni Sessanta del XX secolo, il Paese fu al centro delle proxy wars, conflitti per procura tra ideologie socialiste e capitaliste che impoverirono ulteriormente la regione. Dopo anni di guerra civile fino al 1990, lo Yemen meridionale e settentrionale si unirono politicamente, ma le tensioni ripresero dopo quattro anni. A partire dal 2015, gli Houthi hanno consolidato il loro controllo in uno Yemen dilaniato da lotte politiche interne, ricevendo anche supporto militare dall’Iran, mirato principalmente a contrastare l’influenza saudita. Il conflitto in Yemen è stato talvolta semplificato come una guerra settaria tra fazioni sostenute dall’Arabia Saudita wahabita e dall’Iran sciita, una narrazione che non corrisponde alla complessità delle violenze alimentate da interessi regionali e internazionali. A questo riguardo, Elizabeth Kendall, esperta di Yemen contemporaneo, sostiene che il legame tra gli Houthi e l’Iran era inizialmente strumentale agli obiettivi in Yemen. L’Iran cercava soprattutto di percepirsi come un importante “sponsor” del gruppo armato, prima che l’escalation delle violenze portasse, dal 2020, all’invio di droni e missili balistici chiaramente di origine iraniana. Lo Yemen sembra ora sull’orlo di una nuova frammentazione. Gli Houthi si presentano come autentici patrioti e difensori leali della nazione yemenita, contrapponendosi ad altri gruppi armati come al Qaeda e alle fazioni politico-militari governative che spesso hanno tradito le popolazioni locali.
I recenti attacchi in uno dei “colli di bottiglia” globali nel Golfo di Aden, nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano si sono rivelati calcoli estremamente errati. Le ripercussioni sulle catene di approvvigionamento internazionali – con richieste assicurative fino a 2 milioni di dollari per i passaggi attraverso lo Stretto di Bab el Mandeb – potrebbero causare gravi crisi economico-commerciali. Prolungare i viaggi di dodici-quindici giorni, costringendo le navi a circumnavigare l’Africa, potrebbe incrementare i costi fino a 1 milione di dollari per rotta e inevitabilmente rallentare i tempi di consegna delle merci. Tuttavia, gli Houthi mantengono la loro convinzione autentica che Dio sia dalla loro parte, alimentando così la loro militanza apparentemente indomita.