la Repubblica, 16 maggio 2024
Intervista a Ewan McGregor
NEW YORK – Mosca, 1922. Alle sei e mezzo del 21 giugno, il Conte Aleksandr Il’i? Rostov, decorato con l’Ordine di Sant’Andrea, è scortato attraverso i cancelli del Cremlino che danno sulla Piazza Rossa fino alla suite 317 del Grand Hotel Metropol. Dopo essere tornato in Russia da Parigi in seguito alla rivoluzione del 1917 («Avevo nostalgia del clima», riferisce al Commissariato del popolo per gli affari interni) il tribunale bolscevico gli risparmia l’esecuzione. Ad attenderlo, un arresto domiciliare a vita nel lussuoso Hotel Metropol, dove attualmente risiede. Privato del titolo e delle ricchezze materiali, potrà mangiare al ristorante e bere al bar ma niente più suite, solo una stanza in soffitta. «Se mai dovesse mettere un piede fuori, sarà fucilato». Questa la premessa di Un gentiluomo a Mosca, la serie dal 17 su Paramount+, dal romanzo di Amor Towles, protagonista Ewan McGregor. Al suo fianco Mary Elizabeth Winstead (sua moglie nella vita) nel ruolo della conturbante star Anna Urbanova.
McGregor, Rostov ritrova il suo scopo all’interno dei confini di un hotel. Oltre alle pagine del libro, c’è una persona o una poesia ad averla ispirata?
«Aleksandr è molte cose: ottimista, intellettuale, esteta, sopravvissuto.
Nel romanzo si accenna spesso al non lasciarsi abbattere dalle circostanze. Penso sia una lezione, soprattutto per le nuove generazioni. Con sé, Rostov ha soltanto un baule; la sua biblioteca personale di autori quali Balzac, Dickens e Tolstoj è a Parigi. Deve elevarsi al di sopra della prigionia.
Non può permettere che la vita da recluso lo spezzi. Quando ho letto il romanzo mi sono sentito risucchiato al suo interno. Quelle pagine sono state la mia suite».
La Russia è al centro delle cronache. Avete iniziato a girare prima o dopo la guerra in Ucraina?
«Prima del conflitto. Mi chiedevo se la situazione odierna potesse rendere Un gentiluomo a Mosca più rilevante per gli spettatori. La risposta è sì, senza dubbio. La Russia ha una lunga storia. Di certo non voglio lanciarmi in analisi politiche, ma la detenzione del Conte al Metropol si svolge subito dopo la rivoluzione che portò il comunismo in Russia e ci ha condotto a dove siamo oggi con Putin. La brutalità del regime, i parenti e gli amici del Conte uccisi o costretti a fuggire...
Non è finzione. La morte del dissidente Alexey Navalny è una testimonianza potente. Certi regimi concedono ai dissidenti una vita alternativa, una gabbia per leoni per tenerli sotto scacco. Il Conte rimarrà in quella prigione art déco dalla Rivoluzione Russa alla Guerra Fredda. Ci vuole coraggio a chiamarla libertà. È controllo».
Ha paragonato “Trainspotting” e i movimenti del corpo del suo personaggio, il disoccupato dipendente dall’eroina, a un meccanismo ad orologeria.
«Fare arte per me significa costruire set e personaggi con risorse limitate, ricondurre tutto all’essenziale.Quando non hai un pozzo di soldi a disposizione, ti trovi a risolvere problemi concreti senza altri mezzi se non l’ingegno. La macchina da presa diventa il tuo giudice numero uno. Da poco ho realizzato un bellissimo, minuscolo film con mia figlia Clara, si chiama Bleeding Love. Il budget più basso con cui abbia mai lavorato, e vi garantisco che è stata un’esperienza fantastica».
Capitolo Star Wars. In un’intervista del ’98 diceva di avere poche cose in comune con Obi-Wan Kenobi e di trovarlo bizzarro. Si èricreduto?
«Mi riferivo alla capacità dei Cavalieri Jedi di essere dei veggenti, di percepire cosa sta succedendo senza dare di matto. Se conoscessi il futuro o se solo sentissi scorrere la Forza, impazzirei. Come artista, preferisco non sapere che direzione la vita prenderà. È una parte di me: l’imprevedibilità. A 53 anni, un Emmyper Halston alle spalle, non ho affatto paura di quel che mi attende.Comunque vada, la mia unicafame resta quella creativa».