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 2024  maggio 16 Giovedì calendario

Il vero miracolo si chiama desiderio


Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci può essere evocato come uno tra i più emblematici di quelli raccontati dai Vangeli. Il miracolo consiste in questo caso, com’è noto, nella moltiplicazione di quel poco che c’è, di quello che resta a disposizione degli apostoli di fronte a migliaia di seguaci di Gesù rimasti senza cibo: cinque pani e due pesci. Ma l’accento, sin da subito, non è su quello che manca e che non sarebbe sufficiente a soddisfare la moltitudine che si attende di essere sfamata, ma su quello che è a disposizione, su quello che rimane, sul resto. Si tratta di un “resto” che non genera afflizione perché diviene motore di una straordinaria trasformazione.
Dobbiamo, infatti, provare a vedere la mancanza da due prospettive differenti: da una parte la mancanza come penuria, deficit, minorazione, negatività; dall’altra la mancanza come eccedenza, spinta, forza, trascendenza, plus e non deficit. È una cifra fondamentale del magistero di Gesù: valorizzare la mancanza non come afflizione ma come eccedenza. Dunque, quello che resta – la “pietra di scarto” – viene elevato alla potenza di una forza generativa. Al centro del miracolo dei pani e dei pesci non è, dunque, una semplice condizione di penuria irrisolvibile nella quale si trova il popolo che ha seguito Gesù. Al centro è piuttosto la forza moltiplicatrice del desiderio che non consiste nel negare maniacalmente lo stato di penuria, quanto nel prenderne pienamente atto al fine di trasformare il resto non in una mancanza infelice, ma in un fattore che causa la trascendenza affermativa del desiderio. Il miracolo non consiste allora nel prodigio, nella spettacolarità della moltiplicazione, quanto nella fede nella possibilità della moltiplicazione, ovvero nella fede nel potere trasformativo del desiderio. È solo questa fede che consente la trasfigurazione miracolosa della mancanza in una “sovrabbondanza”. Come può, infatti, un resto divenire sovrabbondante?
È questo il miracolo del desiderio in quanto tale: convertire il resto in un “seme santo”, come dichiara il profeta Isaia di fronte alle rovine di Gerusalemme. L’uomo di desiderio è un uomo di fede e l’uomo di fede è un uomo di desiderio. È il punto cardine della mia lettura di Gesù. Ma, di fatto, è anche il centro dell’esperienza psicoanalitica: lo psicoanalista agisce tenendo conto di quello che c’è nel soggetto – del suo “resto”, della sua poca roba – per estrarre da esso la forza del suo desiderio bloccata nelle sue identificazioni, nelle sue inibizioni e nei tornaconti primari e secondari dei suoi sintomi. Non si tratta affatto di rafforzare l’Io contro il desiderio inconscio, ma di stabilire con questo desiderio una nuova alleanza. È quello che Freud aveva evidenziato con precisione: il metodo psicoanalitico non è una cura tra le altre perché la sua finalità non è la guarigione medica dei sintomi, ma la liberazione del desiderio che si trova incastrato in essi. Guarire non significa semplicemente ricuperare delle funzioni del corpo o della mente alterate dalla malattia, ma ricuperare la libido “ritirata nei suoi anfratti” sintomatici rendendola nuovamente accessibile al soggetto. In altri termini, si tratta di rendere possibile una nuova alleanza tra il soggetto e la vocazione del proprio desiderio. È solamente la riattivazione di questa alleanza che può determinare la guarigione, la quale, infatti, come direbbe Lacan, riprendendo chiaramente una espressione evangelica, avviene solo in “sovrappiù” rispetto a quella riattivazione.
Nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci appare una eccedenza senza misura che scompagina il normale rapporto stabilito dal regime necessario delle proporzioni. Cinque pani e due pesci non possono sfamare una moltitudine di cinquemila persone riunita, in aggiunta, in un luogo deserto, privo di contatti con altri che avrebbero potuto portare soccorso. È, dunque, la fede nel desiderio il miracolo che rende possibile il prodigio e non il prodigio che rende possibile il miracolo. Ciascunodi noi sa per esperienza che quando si attiva la fede nel desiderio l’impossibile può diventare possibile, la vita si espande e si erotizza, acquista potenza (dynamis). Al contrario, senza desiderio essa rattrappisce, perde il suo slancio, si contrae e declina. È la trascendenza del desiderio la forza che apre la vita rendendola davvero viva. È questa forza che una volta attivata genera una incentivazione ulteriore della propria forza. È un punto sottolineato da Spinoza quando sostiene che la spinta del desiderio tende a conservarsi solo espandendosi.
È questo il fondamento di tutti i miracoli di Gesù: convertire quello che appare come la negatività insuperabile della mancanza in un motore positivo capace di generare sovrabbondanza. Non a caso egli non si accontenta semplicemente di sfamare il suo popolo, di soddisfare il loro bisogno di mangiare. Si tratta, piuttosto, dell’allestimento di un vero e proprio banchetto, di una festa, di un momento collettivo di gioia perché non solo «mangiarono tutti e tutti furono saziati», ma «dei pezzi avanzati raccolsero dodici cestini pieni e anche dei pesci».
Gesù converte ciò che appare come la negatività della mancanza in un motore positivo