il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2024
Intervista a Domenico Pompili
È la prima volta di un Papa e, all’Arena di Pace la presenza di Francesco è quanto mai adeguata. Nata nel 1986, nell’ambito del movimento missionario che si raccoglieva attorno alla rivista Nigrizia e ai Beati Costruttori di Pace, non è solo una manifestazione cristiana, ma anche un movimento di società civile. Ne parliamo con il principale promotore, il vescovo di Verona, Domenico Pompili.
Perché è importante l’Arena di pace?
Proprio perché nascono nel contesto dei padri comboniani, hanno sempre inteso la pace non solo come assenza di guerra, ma espressione di dinamiche – economia e finanza, diritti, ecologia, criminalità – con cui è necessario fare i conti altrimenti non c’è vera pace.
La novità di quest’anno è innanzitutto il Papa?
Sì, la presenza del Pontefice è molto importante. Papa Francesco ha voluto che l’evento fosse insieme ai movimenti popolari, italiani e internazionali (saranno presenti Vanessa Nakate, attivista ugandese, Mahbouba Seraj, afghana, João Pedro Stedile, del Movimento Sem terra, Aziz Abu Sarah e Maoz Inon, uno palestinese e l’altro israeliano, ndr) per segnalare che i grandi cambiamenti provengono anche dal basso, dalle coscienze dei cittadini che si mobilitano. Si tratta così di una presa di parola che coinvolge la società civile.
Quali sono le maggiori attese?
Un momento molto importante sarà il dialogo tra i due attivisti ebreo e palestinese per contraddire la narrazione univoca secondo cui la guerra è ineluttabile mentre invece è possibile parlare di pace.
E vede qualche speranza in Ucraina?
L’azione della Chiesa è quella di stare accanto alle vittime che sono nell’una e nell’altra parte del fronte. Senza entrare nel merito dei torti e delle ragioni, ogni parte ha la sua narrazione vera o presunta, la cosa importante è che la Chiesa cerchi di dare aiuto. E la chiesa di Verona ha dato aiuto all’Ucraina, non armi, ma aiuti umanitari.
Si va verso le elezioni europee: cosa si aspetta dall’Ue?
L’Europa ha giocato un ruolo piuttosto passivo in una dinamica mondiale. L’auspicio è che piuttosto che trovare una difesa comune, trovi anche una proposta comune di negoziato.
Cosa esprime in questo momento la comunità cristiana?
I cristiani come tutti avvertono un grande senso di paura e disorientamento e la responsabilità di dover sciogliere un cortocircuito, emerso a partire dai primi anni 2000, per cui è la religione la causa delle guerre. Che invece è uno scontro di economie. È l’intuizione del mondo missionario che non a caso si è mossa a partire dall’Africa. E se pensiamo alle guerre dimenticate, mai raccontate, ci troviamo di fronte a una contabilità dei morti raccapricciante. I missionari si sono resi conto che all’origine della guerra c’è la leva economica. e noi ricorderemo in particolare questo.