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 2024  maggio 16 Giovedì calendario

Intervista a Giuliano Peparini


Si balla e si tace. È sempre andata così, per lunghissimo tempo: nessun ballerino – soprattutto uomo – ha mai osato raccontare il lato oscuro della danza. Quello degli abusi, delle attenzioni non richieste, della vicinanza inappropriata, sia etero che omosessuale. Proprio come nel mondo del cinema italiano, tutti sanno, ma tacciono e così il #metoo, qui da noi, non ha mai di fatto preso piede. A rompere il silenzio è Giuliano Peparini: il celebre coreografo di fama internazionale, che ha incantato gli spettatori del talent show Amici dando vita a quelli che Maria De Filippi chiamava (giustamente) “quadri”. Nel suo piccolo – che in realtà proprio piccolo non è, visto che gli è costato 3 milioni di euro – Peparini vuole provare a riscrivere le regole dell’ambiente della danza, attraverso la sua Peparini Academy: una scuola, nel cuore di Roma, che mette al primo posto il merito, gli sbocchi lavorativi ma anche la sicurezza degli allievi. Perché lui sa cosa può succedere in quelle sale. Lo ha vissuto sulla propria pelle. E non vuole più permettere che accada. Potremmo definirlo una sorta di embrionale #metoo che svicola la polemica per diventare azione e, soprattutto, educazione.
Quanto è profondo il lato oscuro della danza?
«Sicuramente è antico. Nessuno ne parla mai, ma gli abusi sono sempre esistiti nel nostro ambiente. Lo dico perché l’ho provato sulla mia pelle. Quando ero giovane, per esempio, alcuni insegnanti volevano discutere della lezione o del mio percorso mentre loro si facevano la doccia, completamente nudi. Io mi sentivo a disagio, intuivo che fosse una richiesta strana ma non ero l’unico a ricevere questo genere di “inviti”. Paradossalmente era la normalità. Infatti non ne parlai mai in famiglia».
C’è chi è andato oltre all’esibizionismo?
«Succedeva che ti venivano chieste delle cose che normali, in realtà, non erano. Nel mio caso ci sono state delle situazioni dove si è sfiorato l’abuso fisico ma, anche lì, non ho mai detto nulla. Solo con il senno del poi ho realizzato che erano situazioni sbagliate».
Vi ricattavano dicendo che, diversamente, non avreste fatto strada?
«No. Era semplicemente un consueto modo di fare».
La prima battaglia deve essere contro questo senso di normalità percepita?
«Esatto. I ragazzi vanno aiutati e tutelati: può accadere di subire la fascinazione di alcuni adulti. Diventano un modello, li ammiri, ma stimare il lavoro di una persona non vuol dire per forza esserne attratti sentimentalmente. È arrivato quindi il momento di rompere questo tabù, di aprire gli occhi ai ragazzi, spiegando che possono dire di no. La chiave è l’educazione».
Da dove si comincia?
«Nella mia Academy ho previsto degli spazi esclusivi per i bambini, con spogliatoi distinti da quelli degli adulti. Il personale è inoltre altamente qualificato e selezionato».
E per quanto riguarda il problema dei disturbi alimentari?
«È un’altra grossa piaga del nostro ambiente. Di nuovo, però, la chiave è stare vicino ai ragazzi, indirizzarli e aiutarli. Per questo vorrei offrire un servizio psicologico gratuito per i miei allievi. Mi farei carico io della spesa».
Anche qui, a guidarla, è una ferita del passato?
«Da ragazzo mi dissero che ero troppo grasso e basso per fare il ballerino: “Fidati, la danza non è roba per te”. Per fortuna mia madre minimizzò, rassicurandomi che nel giro di un paio d’anni quel tipo di mentalità sarebbe cambiata. Credetti a quel suo “tranquillo, vedrai” e mi bastò per non avere problemi con il cibo».
La mentalità è poi davvero cambiata?
«No, purtroppo. E dire che c’è posto per tutti. Il ballo ha tanti ruoli: ci sono il principe e la principessa, ma anche il caratterista. Poi è chiaro che se vuoi fare Il lago dei cigni serve una certa fisicità ma, ripeto, non c’è solo quel tipo di danza. Anche per questo alle mie audizioni le doti fisiche non sono una variabile decisiva e c’è spazio anche per i diversamente abili».
Altri tabù sulla sua lista?
«I pregiudizi verso gli uomini che ballano. Da ragazzo mi ripetevo: un giorno non sarà più così. Invece purtroppo mi sbagliavo. Giusto poco tempo fa, dei fratelli accompagnavano le sorelle e appena ho proposto a uno di loro di sostenere l’audizione, il padre è intervenuto sottolineando che “lui fa calcio"».
La sua scuola è un po’ figlia di “Amici”?
«Ho avuto l’idea dell’Academy proprio durante il programma. Raccontavo il mio sogno a Maria e lei per prima mi ha sostenuto. Non escludo future collaborazioni con Amici».
Ma tre milioni di euro non è un prezzo troppo alto per un sogno?
«Mettiamola così: è come se mi fossi fatto lo yacht. Ma il mio ha un valore inestimabile». —