Avvenire, 15 maggio 2024
Su Olimpia
Il rapporto fra gli eroi dello sport e il loro pubblico nasce nella notte dei tempi, esattamente quando nasce lo sport. Pitagora diceva che la vita umana gli sembrava varia come il mercato che si teneva ad Olimpia in occasione del più grande spettacolo di tutta la Grecia: Giochi Olimpici. «Qui alcuni, dopo lunga esercitazione fisica, cercavano la gloria e la nobiltà dell’incoronazione, altri vi venivano per vendere e comprare, indotti dal desiderio di guadagno, e c’era gente che, sommamente nobile, non cercava né gloria né guadagno, ma veniva per vedere ed osservare che cosa vi si faceva»: queste parole di Cicerone descrivono l’evento sportivo come epicentro di un’energia capace di mettere in moto azioni molto diverse fra loro, ma che hanno in comune l’essere tutte incollate lì, intorno a qualcosa di magnifico che sta succedendo. A Olimpia, le condizioni a cui il pubblico era sottoposto erano tutt’altro che confortevoli. C’era un solo albergo, destinato alle personalità, e la gente comune doveva dormire all’aperto, per terra, sotto i porticati. Il caldo spesso era soffocante, l’acqua scarsa e molti spettatori morivano di malattie che, proprio ad Olimpia, si diffondevano più facilmente.
Mosche, zanzare e altri insetti tormentavano gli spettatori che facevano appositi sacrifici a Zeus, perché li liberasse da quel supplizio. Nonostante ciò, la passione per i Giochi era così grande, che ogni volta accorrevano almeno cinquantamila persone. Proprio in quel mondo nasce il rapporto indissolubile (fatto di gioie e di dolori) che lega gli sportivi ai loro tifosi. «Per lo spettatore dell’evento sportivo – scrive il semiologo Roland Barthes – guardare non soltanto vivere, soffrire, sperare, ma anche e soprattutto esprimere i propri sentimenti». Una dinamica simile al teatro, ma con una differenza: nello show sportivo lo spettatore parte dello spettacolo stesso. Il tifo, le coreografie, fanno sì che chi tifa giochi un vero e proprio ruolo, complementare a quello dei protagonisti sul campo. Si tratta di un fatto abbastanza unico e atipico, perché tutte le forme d’arte vivono della loro capacità di sollecitare le emozioni dei propri spettatori, ma solo lo sport permette al suo pubblico di entrare a pieno titolo nello show. E poi: avete mai visto due persone abbracciarsi di fronte alla Gioconda? Un gruppo di amici urlare dalla gioia leggendo una pagina di Gabriel García Márquez? C’è qualcosa di razionale in tutto ciò? No, ed questa la meraviglia dello sport. Recuperare un rapporto che riporti i tifosi dentro al protagonismo dello spettacolo sportivo (e non semplici “clienti”) è una delle tante sfide del nostro calcio. Mentre la squadra tedesca del Sankt Pauli, forse la più genuina espressione al mondo di una connessione fra un club e il suo territorio, festeggia la promozione in Bundesliga (dove vige un regolamento che impone l’azionariato popolare al 50%+1 nelle componenti societarie), in Italia si discute di una proposta di legge approvata alla Camera che introduce l’1% di partecipazione popolare nelle società calcistiche, ma che si dice potrebbe trovare ostacoli al Senato.
Insomma, la strada è ancora molto lunga, ma se, come spesso si dice, “il calcio è dei tifosi”, anche l’unica percorribile