la Repubblica, 15 maggio 2024
Su Aldo Spinelli
GENOVA – È storia di naufragi, quella che sta portando a fondo la Liguria sotto il peso di un’inchiesta che tutto mischia, e tutto travolge: politica e affari, soldi e collier, moli e mascherine, piani regolatori e grand hotel, i ricordi di stagioni calcistiche passate con il futuro (traballante) delle grandi opere del Pnrr. Pare ad un passo dal colare a picco un intero sistema politico, in Regione, anche se la maggioranza di centrodestra prova a resistere al mare in tempesta in attesa di un sempre più improbabile ritorno sulla scena di Giovanni Toti, oggi agli arresti domiciliari, governatore sospeso ma non ancora dimissionario. Ma è un naufragio lontano e per nulla figurato anche quello che ha segnato, formato, – i conoscenti più stretti dicono persino «lanciato» – Aldo Spinelli, il grande elemosiniere del sistema, secondo la Procura il corruttore di questa nuova tangentopoli ligure.È storia del febbraio 1958, Oceano Atlantico, la costa della Virginia all’orizzonte, quando ad affondare tra le onde è il Bonitas, mercantile degli armatori Ravano: tra i 21 morti del disastro c’è anche il nostromo Roberto Spinelli da Sampierdarena, il padre del futuro padrone dei traffici del porto genovese, ed è da qui che vulgata vuole cominci l’epopea del primo protagonista dello scandalo in corso. Una vita alla rincorsa con una famiglia sulle spalle già a 18 anni, la sola licenza elementare, pochi amici, tanta fame (di affari e potere, poi arriveranno anche le donne, i divertimenti, il gioco), che rischia però di naufragare proprio nella «troppa generosità» – è l’autodefinizione del diretto interessato – nei rapporti con quella politica che lo stesso Spinelli ha sempre detto di aver frequentato e finanziato lungo «tutto l’arco costituzionale».Il portoDal mare alla terra. Sembra uno slogan, di quelli usati per pubblicizzare il suo gruppo e invece riassume la carriera professionale di Aldo Spinelli. Dal mare, infatti, Aldo scende a terra nel 1963. Imbarcato giovanissimo sui cargo, il marittimo Aldo Spinelli abbandona a 23 anni il mare e acquista un camion usato per trasportare legname. Inizia così un cammino che lo porterà fino al vertice italiano del business logistico. Spinelli si muove con i suoi camion in cerca di affari, fiutando l’occasione giusta per allargarsi. E l’occasione arriva, nel ’69, quando è fra i primi a intercettare la più grande rivoluzione che mai abbia riguardato il trasporto marittimo, i container. Non appena si riconverte una banchina proprio per i container, lui ribalta la sua azienda, dicendo addio ai tronchi di legno e ai prodotti siderurgici per l’Italsider. Compra sessanta camion e struttura il primo servizio per l’Australia, inaugurato a Ponte Libia. Uno dopo l’altro, arrivano i grandi consorzi marittimi che si affidano tutti a lui. Il ruolo di Spinelli dentro al porto cresce e lui si lega presto alla politica, quella in quel momento è vincente. Il ministro dei Lavori Pubblici è il democristiano Gianni Prandini, il primo a cercare di scardinare il monopolio dei camalli. Con i decreti varati da Prandini il porto va incontro a due mesi di sciopero, terminati con una tregua firmata, fra gli altri, proprio da Spinelli, presidente della Terminal Container spa. In parallelo, per ospitare i container vuoti, investe sulla collina degli Erzelli, un deposito a cielo aperto da 400mila metriquadri che l’imprenditore venderà a Ght per far nascere il Parco scientifico e tecnologico. Nel porto di Voltri dà vita a una grande area per lo stoccaggio delle merci e comincia a crescere anche lontano da Genova, con retroporti in Liguria, Emilia Romagna, Lombardia. E quando arriva la stagione delle privatizzazioni, varata alla metà degli anni Novanta, si candida per la gestione di un terminal in cui movimentare ogni tipo di merce. Su quelle aree del porto, l’imprenditore costruisce la sua fortuna e progressivamente si allarga al Terminal Rinfuse, il fulcro attorno al quale ruota l’inchiesta che lo ha portato agli arresti domiciliari. Si allea nel terminal con la Msc di Gianluigi Aponte, ma apre anche il capitale del suo gruppo, prima ai fondi, poi al colosso tedesco dell’armamento Hapag Lloyd. Sembra l’inizio di una nuova avventura, ma le manovre per allargarsi nel porto con le sue relazioni pericolose con il presidente del porto Signorini naufragano con l’esplodere dell’inchiesta.La politica«Io ho sempre dato soldi a tutti i partiti, a destra e a sinistra», suona oggi la difesa di Spinelli, e a ripercorrerne vicende e endorsement elettorali viene difficile non credergli. «Io vengo da sinistra», ha fatto sapere per una vita, soprattutto ai tempi della (fu) Genova roccaforte rossa, ma oggi la verità la si legge desolata in un’intercettazione del figlio Roberto: «tu hai sempre fatto cose solo per opportunismo». È anche grazie ai buoni rapporti con alcuni funzionari dell’allora Pci, si racconta del resto in porto, che a fine anni Settanta ottiene una delle commesse che faranno da svolta sui moli: forniture e logistica per la Black Sea Line, la flotta mercantile russa. È nutrita a botte di appalti, concessioni, vacanze esotiche e l’investimento in prima persona nella Sitaf, la concessionaria per la costruzione e l’esercizio del traforo del Frejus, l’amicizia con l’ex ministro Prandini e il mondo Dc. È poi per ambizione che si candida e si fa eleggere in Consiglio comunale nella lista dei Repubblicani-Socialisti, a fine anni Novanta: il rischio di cadere in conflitti di interessi non lo preoccupa, ma al momento del voto sul destino dell’area logistica degli Erzelli, casa dei suoi container, sceglie di uscire dall’aula. Durerà poco il flirt con Silvio Berlusconi, meno del primo governo del Cavaliere, prima di tornare a sostenere il predecessore di Toti Claudio Burlando, ultimo governatore ligure di centrosinistra, che racconta di avergli fatto incontrare più volte anche Romano Prodi, in era ulivista. «La sinistra è ferma, chiederò la nuova diga del porto di Genova venga intitolata a Toti, Bucci e Signorini», dirà aRepubblica a certificare le regole di una vita sull’ottovolante nell’estate del 2022, a indagini ancora in corso, in piazza con Salvini a Genova.Il calcioTroppo fedele, del resto, figuriamoci la coerenza, il grande elemosiniere degli ultimi cinquant’anni di storia ligure non lo è stato neanche nell’unico mondo in cui l’infedeltà non viene tollerata. Nel calcio Spinelli entra per caso, Renzo Fossati gli cede il Genoa nel 1985, alle spalle c’è la sola esperienza come sponsor sulla maglia rossa della Culmv, la compagnia dei lavoratori portuali, una sorta di captatio benevolentiae – la regola è sempre quella – nei confronti dei camalli e della loro squadra che milita in Promozione. Il mondo del pallone nazionale gli apre le porte della notorietà, delle tv e di nuovi affari, lui riporta il club in Serie A e poi in Europa, così come 15 anni più tardi farà con il Livorno. Eppure, in entrambe le piazze, finisce contestato e condannato per sempre da quello che le rispettive tifoserie mai gli perdoneranno. Nella sua Genova, tra le tante, la vendita di Pato Aguilera al Torino dopo la cavalcata in Coppa Uefa del 1992, sotto invito dichiarato di Bettino Craxi, grande tifoso granata. A Livorno l’abbandono del club e la città dopo 21 anni di rapporti tesi, finiti nel fallimento della società, poco dopo la cessione del grosso del pacchetto azionario. «Era tirato come una balestra», si ricorda in Toscana: «Aveva puntato gli spazi in porto ma capì presto di poterci fare poco,non ha più investito un euro più del dovuto sulla città». L’ex sindaco di Livorno Filippo Nogarin raccontò di un suo pranzo a casa Spinelli per discutere del futuro del club e dello stadio, nel 2018. «Mi servì una minestrina di verdura e il giorno dopo mi ritrovai sui giornali tra i commensali di un pranzo a base di aragosta, l’aveva raccontato così lui stesso alla stampa, e quando protestai mi disse che l’aveva detto per non farmi fare brutta figura». Una «forma di generosità», viene da chiedersi chissàcos’altro, del troppo generoso scio Aldo.