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 2024  maggio 15 Mercoledì calendario

Il ritorno a Piacenza di Simone Inzaghi

CENZA «Mamma che bel ragass». Gli Inzaghi a Piacenza sono una specialità della casa come i pisarei e fasö, ma da tanti anni hanno preso il volo: tornare nel cuore della propria città, accarezzare le radici e rivedere tutta la strada percorsa, è una somma di emozioni che tocca al cuore Simone, il picìn di casa che è diventato grande, trofeo dopo trofeo fino a un traguardo «che credo ci rimarrà dentro per sempre, perché è lo scudetto della gioia: se ne parlava da due mesi di vincerlo nel derby, servivano tanti incastri, ma era qualcosa che doveva succedere».
Nel magnifico salone del Palazzo Gotico di Piacenza il tecnico dell’Inter viene premiato dalla sindaca Katia Tarasconi come primo piacentino a vincere il campionato in panchina e riabbraccia vecchi amici, racconta scherzi («le big bubble masticate e poi incollate sul petto di un compagno che dormiva»), evoca sfide lontane come se si fossero disputate ieri, mostra una parte di sé meno conosciuta, grazie anche alle foto d’archivio che gli vengono mostrate dai giornalisti Giorgio Lambri e Paolo Gentilotti.
Dal primo giorno di scuola con il fiocco al collo («C’era un bel giardino per giocare a pallone») fino alla foto del figlio Lorenzo, dieci anni, attaccante degli esordienti dell’Inter («Si impegna tantissimo»), c’è tutto il romanzo di formazione di questo allenatore che non crede alla fortuna ed è poco abituato a esternare le proprie emozioni e anche le richieste al club che allena. Ma questo è un giorno speciale. E Simone pretende per l’immediato futuro «un’Inter forte, perché dobbiamo migliorare ogni anno gli obiettivi: io spero e credo di poter annunciare presto il rinnovo». Poi si tuffa a bomba nel passato, tra le vacanze in collina a Ferriere sui colli piacentini e a Milano Marittima, le discese sulla fascia con il San Nicolò, le prime vittorie da esordiente «con la finale del torneo Beghi al Galleana, lo stadio dei grandi», le prime esperienze tra i professionisti «non facili»: raramente c’è una foto senza Filippo accanto, il primo albero degli Inzaghi a crescere, ma senza mai fare ombra al fratello anche se a lungo è sembrato così, perché la schiena ha fregato Simone quando era già del Milan, pronto a fare coppia con Super Pippo. E invece era il contrario: il più grande è stato l’ispirazione costante per il ragasei, che come una spugna ha assorbito tutto fin dai tempi della mitica «Buca», il campetto di cemento di San Nicolò, frazione di Rottofreno alle porte della città, iniziando a fare sul serio dopo la gavetta in C2, con Totò De Vitis come idolo, proprio con la maglia del «Piace» in A, lanciato da Beppe Materazzi ed esploso con gli assist di Stroppa e Rastelli.
Tricolore vissuto
Lo scudetto della gioia, un traguardo raggiunto che mi rimarrà dentro per sempre
«Mone» – come lo chiama il fratello – è diventato uno specialista nel farsi scivolare addosso le critiche e rispondere ai colpi, lavorando ancora di più: «In questo ricorda Ancelotti» ha detto Pippo qualche settimana fa, celebrando un altro prodotto doc di questa terra generosa, ma sobria anche nell’abbraccio dei tifosi di tutte le età. Papà Giancarlo conferma: «Simone si ispira molto a Carlo: sono persone che fanno la storia del calcio senza mai tradire la propria normalità». Il «Gianca», con la moglie Marina, di premi e cerimonie ad accompagnare i figli ne ha seguiti a decine. Ma ha gli occhi lucidi, anche perché Simone, dopo aver raccontato l’incontro con papa Francesco («Quando gli ho dato la mano ero bloccato, in difficoltà per l’emozione») ancora una volta spiega l’importanza della famiglia nel suo percorso, anche quello nerazzurro, finalmente più vicino a casa rispetto alla lunga e felice stagione laziale: «Qui, nella loro città, capisci quanto la gente ami e rispetti questi ragazzi per quello che sono – riflette Giancarlo Inzaghi —: la soddisfazione più grande è avere due figli perbene, educati e che possono essere d’esempio per i giovani».
Nell’ennesimo giorno, anzi nella stagione di Simone, parlare sempre al plurale, potrebbe sembrare riduttivo per un allenatore che è cresciuto tanto. E per il quale lo scudetto più che un traguardo può rappresentare un ulteriore punto di partenza. Ma l’ingrediente segreto nella ricetta degli Inzaghi è proprio questo, semplice e unico: ogni porzione è doppia. E anche se il bis scudetto è già in preparazione, vula bass e schiva i sass.