Corriere della Sera, 15 maggio 2024
Sinwar, signore dello spionaggio palestinese e della repressione
Un controllo ferreo su Gaza, con mille occhi e antenne. Un’attività capillare per controllare il dissenso, soffocare voci, punire chi sgarra per ragioni politiche o persino per vicende «morali», come una relazione fuori dal matrimonio. A gestirle questa attività il Gss di Hamas, uno dei servizi di sicurezza del movimento guidato da Yahya Sinwar.
Proprio lui, prima di arrivare al vertice della fazione, si è costruito la fama di dirigente intransigente, duro, capace di usare la massima forza. Come fondatore di uno degli apparati segreti ha guidato la caccia alle spie, ai collaborazionisti, a chiunque abbia cercato di ostacolare anche dall’interno – semplicemente criticando – l’egemonia del partito.
Nuovi documenti passati dagli israeliani al New York Times hanno aggiunto dettagli sulla morsa imposta a Gaza dai militanti in un lungo arco di tempo. Le carte esaminate si riferiscono al periodo 2016-2023: un quadro non cambiato di molto e svelato da una sessantina di schede compilate dai funzionari per essere mostrate al numero uno.
I quasi mille agenti del Gss hanno pedinato, fatto pressioni, probabilmente monitorato i contatti di molte persone ritenute «a rischio» perché non in sintonia, poco allineate con la forza dominante. Circa diecimila individui sono stati oggetto d’attenzione, dossier riempiti per ragioni diverse. Persone che hanno espresso riserve su Hamas, partecipato a rare manifestazioni in strada, condotto ricerche per i media oppure appartenenti a gruppi concorrenti, come alcuni guerriglieri della Jihad islamica.
Macchina repressiva
Circa diecimila individui sono stati oggetto d’attenzione perché «poco allineati»
Tra i file c’è quello di Ehab Fasfous, reporter palestinese di 51 anni bollato come uno dei peggiori avversari: «Siamo sotto le bombe di Israele e dobbiamo subire le intimidazioni delle autorità locali», ha dichiarato al New York Times per indicare come sia dura la vita nella Striscia.
Le fonti ufficiose israeliane citate dal quotidiano pongono al centro della macchina repressiva Sinwar. Il leader è sempre il cuore di numerose ricostruzioni perché tutto passa attraverso il suo ruolo e, allo stesso tempo, rappresenta un simbolo. Le ultime voci da Gaza dicono che sarebbe nascosto non a Rafah ma a Khan Younis, dove è nato nel 1962 ed ha il vantaggio di conoscerla alla perfezione. Molte in questi mesi le segnalazioni, compreso un suo avvistamento insieme ad alcuni ostaggi all’interno di un tunnel. Con l’intensificarsi degli scontri i racconti sono diventati più confusi. All’inizio di quest’anno fonti arabe hanno evidenziato che la fazione aveva perso i contatti a causa degli strike, per poi riprenderli superata la fase di difficoltà. Gli israeliani hanno sostenuto di essere arrivati molto vicino a catturare il leader, specialisti hanno invece indicato l’esistenza di un centro di comando, definito «stanza 6», dalla quale avrebbe diretto la resistenza. A metà febbraio il mosaico è diventato più contrastante. In un video, ancora in un cunicolo illuminato da torce, Sinwar è comparso con moglie e figli. Il 19 i soliti sussurri hanno avanzato l’ipotesi di un suo malanno grave seguito dalla possibilità di una fuga in Egitto. Scenario smentito dalle rassicurazioni della fazione: il sentiero di guerra o pace è legato alle sue decisioni.