Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 14 Martedì calendario

Intervista a Elly Schlein

ROMA – «Noi lo abbiamo detto sin dall’inizio: alla luce della gravità del quadro che sta emergendo, le dimissioni di Giovanni Toti sono necessarie e opportune». In giro per la campagna amministrativa abbinata alle Europee, Elly Schlein insiste sulla richiesta avanzata dal Pd non appena il governatore ligure è finito agli arresti domiciliari.
Perché sono necessarie?
«Al di là delle responsabilità penali, che sarà la magistratura ad accertare, la Liguria non può rimanere appesa, ostaggio di un’incertezza amministrativa che fa male ai cittadini, paralizza gli investimenti, impedisce di prendere decisioni cruciali su sanità e appalti del Pnrr, solo per citarne alcune. Tanto più alla luce delle pesanti accuse di corruzione che, secondo gli inquirenti, coinvolgono anche la criminalità organizzata e gettano un’ombra tale da rendere impossibile attendere l’esito del processo».
Meloni però proprio ieri ha detto: per rispetto di un uomo che ha ben governato, aspettiamo la sua versione dei fatti.
«Prima è stata zitta per giorni, un silenzio assordante, ora invoca pazienza. Vorrei sommessamente segnalare che per un’inchiesta che neppure ha sfiorato il presidente Emiliano, la sua maggioranza ha occupato tutti i Tg con una foga giustizialista mai vista prima. Sono garantisti solo quando tocca a loro. Se gli arresti colpiscono le amministrazioni di destra, premier e ministri indossano la toga degliavvocati difensori. Quanto alla Regione Liguria, quel che sta uscendo racconta anni di malgoverno e malasanità, una intollerabile commistione fra politica, affari e mafie. Perciò Toti non può restare un minuto di più».
È una nuova Tangentopoli, secondo lei?
«Ogni inchiesta fa storia a sé, vedremo quanto in profondità si spinge questa vicenda che non è finita qua, deve ancora essere chiarita e soprattutto portare la politica, tutta, ad alzare la guardia. Detto ciò, non posso non notare la differenza che c’è fra noi e loro».
Quale?
«Noi siamo i primi a sostenere il lavoro della magistratura e quando interessa il Pd siamo inflessibili: per tutelare le istituzioni, laddove serve, pretendiamo le dimissioni immediate di chi è coinvolto, com’è accaduto in Puglia. La maggioranza invece trascorre il suo tempo ad attaccare i giudici salvo quando deve utilizzarne le indagini contro le opposizioni. Ricordo che stiamo ancora aspettando le dimissioni di una ministra per cui è stato chiesto il rinvio al giudizio per truffa aggravata ai danni dello Stato. Non so cosa aspetta Meloni a ristabilire la dignità delle istituzioni in cui siedonotemporaneamente».
Quindi l’escalation giudiziaria pronosticata dal ministro Crosetto era solo un alibi preconfezionato per pararsi dai guai in arrivo?
«Lui è uno dei ministri, non il solo, specializzato negli attacchi alla magistratura e nella difesa d’ufficio di Toti. Pensiamo al caso Apostolico. Anziché dotare i tribunali di risorse, personale e strumenti informatici per accelerare i processi e far funzionate meglio la giustizia, alimentano uno scontro fra poteri dello Stato del tutto strumentale.
Introducono nuovi reati, come quello per chi partecipa ai rave party, inaspriscono le pene per i ragazzi che protestano in strada, ma poi diventano ipergarantisti con i delitti dei colletti bianchi».
Un filone dell’inchiesta illumina i favori alle imprese della sanità privata in cambio di finanziamenti.
Ha a che fare con l’indebolimento della sanità pubblica?
«Al di là del caso specifico, non posso non rilevare che ovunque governa la destra si vede sempre lo stesso film: loro vogliono una sanità per cui chi ha il portafogli gonfio si rivolge al privato per saltare le lista d’attesa, chi non lo ha rinuncia a curarsi – più di due milioni e mezzo di persone in Italia, secondo la Fondazione Gimbe.
Una cosa inaccettabile. Per questo ho presentato una proposta di legge alla Camera, le cui audizioni sono appena cominciate, per rafforzare la sanità pubblica. Che chiederemo alla maggioranza di votare».
Ma, alla luce di quanto sta accadendo, non rischia di apparire una battaglia di retroguardia?
«Al contrario. È la madre di tutte le battaglie. Per Meloni è il premierato, che ieri anche la senatrice Segre ha demolito nell’aula del Senato, per me impedire che la sanità pubblica venga smantellata. Perciò abbiamoproposto di alzare le risorse fino al 7,5% del Pil, in linea con la media europea, accanto allo sblocco delle assunzioni e a un piano per reclutare nuovi medici e infermieri nei reparti che si stanno svuotando. La conseguenza sono le liste d’attesa infinite che negano la prevenzione e il diritto alla Salute, tutelato dalla nostra Costituzione».
E i soldi dove li prendiamo?
«Il governo ha alzato bandiera bianca sul contrasto all’evasione fiscale che offrirebbe ampi margini di recupero, ha messo 4 miliardi sulla riforma dell’Irpef che si traduce in un risparmio di circa 15 euro al mese.
Allora, se mi fai risparmiare 15 euro, ma poi mi impedisci di prenotare una visita per i prossimi due anni, obbligandomi ad andare dal privato per pagarne 200, non mi stai aiutando. Quei 4 miliardi dovevano essere inseriti in manovra, come suggerito dal Pd, sulla sanità pubblica che è stata definanziata.
Perciò chiediamo al governo di dare insieme a noi una risposta ai cittadini, votando questa legge che hanno approvato anche Regioni guidate dalla destra».
Al di là delle inchieste, che clima che si respira nel Paese?
«Non buono. A preoccuparci è la campagna ungherese portata avanti dalla destra: la delegittimazione di giornalisti, magistrati e intellettuali, la censura del monologo di Scurati, il fastidio verso ogni forma di dissenso non aiutano certo ad abbassare la tensione».