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 2024  maggio 14 Martedì calendario

Il nuovo personale del Cremlino

È raro che alla corte del Cremlino succedano dei terremoti, come si è visto la settimana scorsa dalla lista degli invitati, più o meno sempre gli stessi da un quarto di secolo, alla cerimonia di investitura di Vladimir Putin per il suo quinto mandato. Quando accadono, mandano dei tremori in tutto il sistema politico russo, che cerca di leggere nell’eliminazione di un peso massimo del governo un segnale, e di capirne gli effetti a cascata. È stato il caso del licenziamento del ministro della Difesa Sergei Shoigu, il 69enne inamovibile fedelissimo del presidente, che già nel 1999 si era prestato – da popolarissimo ministro della Protezione civile – a guidare il suo partito Russia Unita, per poi prendere in mano l’esercito dal 2012. È sopravvissuto a tutto, inclusa la disastrosa campagna iniziale dell’invasione dell’Ucraina e il tentato golpe del grupppo Wagner, il cui obiettivo – quello dichiarato a gran voce da Evgeny Prigozhin almeno – era proprio la testa di Shoigu. Un uomo di tale fiducia da vedersi affidare una delle tre valigette nucleari (le altre due spettano al presidente e al capo dello Stato maggiore).Ora la valigetta che lancia l’Apocalisse passa in mano ad Andrei Belousov, 65 anni, economista con un lungo e prestigioso curriculum governativo, ex consigliere del Cremlino, primo vicepremier e ministro dell’Economia. Putin non ha mai messo militari al ministero della Difesa, ma il nuovo ministro ha un retroterra davvero lontano, di istituti di ricerca sovietici e uffici del governo. Figlio d’arte – il padre Rem era stato tra gli economisti della “riforma Kosygin”, un tentativo di liberalizzare il socialismo brezhneviano – ha studiato nelle scuole più prestigiose di Mosca. Un “tecnico” che non appartiene ai “falchi”, ma nemmeno un liberale: un anno fa era stato il cervello del gruppo di lavoro che aveva proposto la militarizzazione dell’economia russa. Secondo il politologo Abbas Galyamov, Putin non ne ha accolto le proposte più radicali come la nazionalizzazione e la mobilitazione, ma ha pensato che Belousov «sapesse dove trovare i soldi per la guerra».La nomina di un accademico civile dunque non è un segnale di distensione, ma semmai dell’intenzione di condurre una guerra che durerà anni. Il nuovo primo vicepremier Denis Manturov ieri ha riferito alla Duma che l’industria militare russa ha assunto dal 2023 500 mila nuovi lavoratori, riconvertito 850 fabbriche ex civili e aumentato i salari del 30-60%. L’economia militarizzata richiede un ministro che metta insieme fabbriche, esercito e governo, in quella che dopo lo stanziamento degli aiuti Usa all’Ucraina si prefigura come una guerra di risorse e mezzi. Zelensky conta sull’Occidente, Putin ormai scommette sull’autarchia di stampo sovietico e recluta un economista sotto sanzioni europee e americane, che ha fatto suo lo slogan sovietico «tutto per il fronte, tutto per la vittoria».Se le ragioni della nomina di Belousov appaiono abbastanza evidenti, c’è mistero per le dimissioni di Shoigu. Putin non sacrifica i fedelissimi all’opinione pubblica, non subito almeno. Era rimasto indifferente alla rabbia dei militari, e dei Wagner, nei confronti di un ministro che non aveva fatto un giorno in caserma, ma che aveva portato Putin a caccia nella taigà, e gli aveva fatto scoprire il bagno nel sangue dei cervi, il rituale di giovinezza dei sciamani siberiani. Due settimane fa, il campanello di allarme era suonato al ministero della Difesa con l’arresto del vice di Shoigu Timur Ivanov, accusato di tangenti milionarie. Non era chiaro se dietro ci fosse l’intenzione di distruggere Shoigu, o semplicemente di costringerlo a spartire i lucrosi contratti di appalto con un altro clan al potere. La risposta è arrivata dopo che Putin aveva annunciato alla Duma un nuovo esecutivo senza troppi cambiamenti, equilibrato tra gli oligarchi secondo il manuale Cencelli moscovita. Per non infliggere a Shoigu un licenziamento è stato trasferito alla guida del Consiglio di sicurezza, dove lo aspetta come vice l’ex presidente e premier Dmitri Medvedev, dando a molti analisti moscoviti l’impressione che l’organismo formalmente consultivo possa diventare un parcheggio per cortigiani dismessi.Resta però un mistero irrisolto: che fine farà il suo ormai ex capo Nikolai Patrushev? Nonostante i suoi 72 anni, non può venire catalogato tra i pensionati del regime: secondo molti, era un potentissimo numero due, l’ideologo della invasione dell’Ucraina e della guerra all’Occidente.Nelle regole del Cremlino appare impossibile lasciare disoccupato un personaggio di tale calibro. È vero che il figlio di Patrushev, Dmitri, è stato appena promosso da ministro dell’Agricoltura a vicepremier. Ma anche considerando le voci che da anni danno il 47enne Patrushev Jr come il possibile “delfino” di Putin, barattare una promozione del figlio con una carica cruciale del padre appare uno scambio sproporzionato.