Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 14 Martedì calendario

Intervista a Caterina Balivo

Sa di essere una privilegiata, Caterina Balivo, ma questo non le impedisce di abbracciare le lotte per i diritti delle donne. «Perché ci sono pochissime donne nei ruoli apicali del nostro Paese?», si chiede la conduttrice. Come se lo chiedono milioni di italiane che a dispetto della loro bravura, competenza, caparbietà spesso si trovano a essere superate da colleghi uomini. Caterina riflette: «Sulla carta, la parità salariale c’è già. Ma poi per esempio si blocca quando la donna si ferma per le gravidanze, cosa che chiaramente ai maschi non succede. Qui ci sarebbe da lavorare molto. Un po’ come è stato fatto con le quote rosa a lungo osteggiate. Anche a me non piacevano: e invece meno male che ci sono perché ora nei Cda ci sono le consigliere ed è una cosa molto buona. Anche se poi mi chiedo: quanti amministratori delegati ci sono? E il campo si potrebbe allargare: quante direttrici ci sono nei quotidiani? E potrei andare avanti...».
Caterina Balivo, nata a Napoli, cresciuta ad Aversa, classe 1980, quasi miss Italia (è arrivata terza), conduttrice di molti programmi, ora in onda con «La volta buona» su Rai1, tutti i giorni alle 14, è sposata con Guido Maria Brera dal quale ha avuto due figli, Guido Alberto e Cora. Solare e combattiva ha una sua idea molto precisa del perché sia così faticoso per le donne occupare posti prestigiosi sul lavoro rispetto ai colleghi maschi: «Se una donna vuole fare carriera deve posticipare l’arrivo dei figli o addirittura rinunciare. La biologia della donna non corrisponde al momento storico che stiamo vivendo. Spesso succede che si arrivi a 40 anni a fare il primo figlio, ma poi tutto è più difficile. E qui si apre un altro piano di discussione: se hai i soldi puoi conservare gli ovuli (la pratica egg freezing, molto nota in America, ndr) e se non li hai devi rinunciare. Insomma credo che bisognerà ragionare su questo aspetto: come riuscire a far andare di pari passo il corpo femminile con la questione lavorativa».
Ogni donna, anche se privilegiata, arriva al momento della scelta: «Io non lascerei mai il lavoro per i figli, pur amandoli moltissimo. Durante il Covid ho fatto io un passo indietro, e sono rimasta a casa per tenere gli equilibri familiari. Ma quando sono tornata al lavoro è stato complicato». Siamo sempre al tema della conciliazione insomma e del ruolo della donna che deve sdoppiarsi, spesso senza aiuti. Se si ha la fortuna di avere i nonni giovani e liberi da impegni forse ce la si può fare, altrimenti diventa un’impresa titanica. Anche in questo caso Balivo ha toccato quasi con mano il problema: «Le mie amiche e anche mia sorella medico per i primi anni di vita dei figli si sono appoggiate a nonni o tate, se potevano permetterselo, ma la svolta l’ha avuta la mia amica Margherita che può contare su un asilo all’interno dell’ospedale Le Molinette. Mamma single e fuori sede, non avrebbe avuto la stessa carriera se non fosse stata supportata nel posto di lavoro. Ecco, gli asili nido e le scuole dell’infanzia devono essere di più e garantiti per tutte».
Gestire lavoro, casa e famiglia è davvero complesso e l’educazione dei figli spetta spesso alle madri. Caterina ha un maschio (di 12 anni) e una femmina (di 7). Come li educa, a proposito di genere e gender gap? «Io rompo molto le scatole perché diventino persone per bene e possano fare il lavoro che amano. I miei figli mi vivono come donna indipendente, e di questo sono contenta. La bimba piange perché non la vado a prendere a scuola e io – senza sensi di colpa – le dico “Mamma lavora”. Se lei replica: “Allora tu preferisci il lavoro a me?”, le spiego che la mamma ha semplicemente orari diversi e non riesce ad essere fuori da scuola. Però se ci penso bene mi rendo conto che a lei, e solo a lei non al maschio, dico spesso “stai composta, non alzare la voce” come se culturalmente le donne dovessero starsene zitte, senza dare fastidio. E questo è sbagliato. Come è sbagliato che spesso tra noi donne non parliamo di soldi: dobbiamo cominciare a leggere di più le pagine economiche, o non riusciamo neppure a chiedere un aumento». E con l’educazione del maschio come vanno le cose? «Gli ripeto continuamente che quando una ragazzina dice no, è no su tutto. Nel gioco, nel bacio. E poi mi interrogo: “E se lo inibisco troppo? Se gli trasmetto insicurezza nell’essere audace? Anche con lui mi sono ritrovata a sbagliare: una volta gli ho detto “Non piangere come una femminuccia”. Tremendo».
Questi sono stereotipi su cui ogni donna prima o poi si trova a dover fare i conti: i pregiudizi radicati dentro di noi e dentro la società, con le fatiche di tenere insieme tutto. E il mondo dello spettacolo alla fine non sembra tanto diverso da altri ambienti di lavoro. «Non capisco – prosegue – perché le donne non possano condurre i quiz come gli uomini. Sarò sempre grata ad Andrea Salerno, direttore di La7, che mi fece condurre un quiz. È stata una bellissima esperienza. Ma anche nel nostro mondo c’è ancora tanta strada da fare. Io per esempio nel mio programma ho un gruppo autoriale molto maschile, lo vorrei più femminile. Ho sempre lavorato con gruppi a maggioranza femminile che hanno un gusto televisivo più affine al mio». E Caterina anche nei suoi programmi trova sempre il modo per essere solidale con le donne. «Quando conducevo “Detto fatto”, dal 2004 al 2009, ho fatto una battaglia per i corpi femminili lanciando il messaggio che bisogna accettarsi così come si è. Mia mamma mi ha sempre detto: “Le rughe me le tengo”. Lei è stata la prima femminista che ho conosciuto, che ha sempre lavorato con tre figli».