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 2024  maggio 14 Martedì calendario

Il piano Gelli e le sue metamorfosi

Oltre quarant’anni fa, l’estate del 1981 fu dominata dallo scandalo della Loggia P2. Le liste degli aderenti, rinvenute nella villa toscana di Licio Gelli – e probabilmente non esaurienti – fecero gridare alla minaccia eversiva. Ancor più il testo del cosiddetto “Piano di Rinascita Democratica”, un elenco di punti dal sapore reazionario messi insieme in modo alquanto approssimativo, così da costituire il programma “legge e ordine” di un governo prossimo venturo. Nell’insieme il Piano assomigliava in modo sorprendente al programma dell’esecutivo golpista nel film di Monicelli Vogliamo i colonnelli.
Tuttavia c’era poco da scherzare. Al di là del velleitarismo, la P2 costituiva una minaccia eversiva. Certo, non tutti gli affiliati erano lì per preparare un colpo di Stato o per prender parte ad attività sediziose o peggio: una buona percentuale si era iscritta per leggerezza, carrierismo, incomprensione delle vere finalità.
Tuttavia l’associazione in sé era contro la legge e infatti i suoi capi e i funzionari dello Stato – civili o militari – coinvolti nell’intrigo furono puniti. Il Paese non poteva tollerare anche solo il sapore di una simile minaccia.
Da allora la P2 è scomparsa, benché di tanto in tanto sia riaffiorata come P3 o P4. Ma niente in confronto all’originale. Ora invece si torna a parlare del Piano di Rinascita.
Giuseppe Conte, in sintonia con una parte della magistratura, vi allude come a un’insidia che pesa sulla nostra democrazia. Un noto magistrato aggiunge che le azioni del governo Meloni ricalcano alla perfezione i precetti del piano curato a suo tempo da Gelli.
Si capisce che il riferimento serve per colpire l’opinione pubblica a poche settimane dalle elezioni. Quarant’anni dopo – ecco il messaggio – siamo sempre allo stesso punto: le forze reazionarie complottano nel 2024 come complottavano nel 1981. Contro la magistratura e contro l’informazione: nulla è cambiato.
Sono accuse che confermano l’abilità di Conte nel prendere sempre d’infilata il Pd, sottraendogli le carte migliori per giocarsele da primo della classe. Ma, a ben guardare, la verità è un po’ diversa.
Il piano di Gelli, a voler prendere sul serio quella sommatoria d’interventi in ogni campo, è stato già attuato in parte. E senza nemmeno il bisogno di un “golpe”. Ma chi lo ha realizzato in qualche punto?
È singolare pensarci, dopo la requisitoria dell’ex premier, ma è stato proprio il partito di Conte a lanciare il taglio dei parlamentari. L’iniziativa fu dei 5S, col pieno appoggio di altri gruppi; Fratelli d’Italia fu tra i più convinti, mentre il Pd si accodò solo all’ultima votazione.
Un altro esempio. Nella visione istituzionale della premier, i senatori a vita devono essere cancellati. Gelli e i suoi amici, viceversa, prevedevano d’innalzarne il numero: da 5 a 25, ovviamente tutti di nomina presidenziale.
Il Senato dotato di diverse funzioni rispetto alla Camera era previsto nella riforma Renzi, ma fu fermato. Una forma di presidenzialismo, il “premierato” con elezione diretta del presidente del Consiglio, esiste nella bozza presentata dal governo, ma non nel famoso “Piano di rinascita”: qui si prevedono varie mosse per rafforzare il governo, ma si evita con cura di assumere impegni per l’elezione diretta.
Quanto alla legge elettorale, il piano suggerisce il modello tedesco. Modello apprezzabile e certo non eversivo.
Dove si crea uno snodo cruciale, è l’offensiva contro taluni aspetti della magistratura: ma la riforma Nordio è in alto mare ed è tutto da dimostrare che il punto chiave, la separazione delle carriere, riesca mai a vedere la luce.