il Giornale, 13 maggio 2024
La rivincita del formaggio
«Come si fa a governare un Paese con 246 differenti tipo di formaggio?», si chiedeva Charles de Gaulle, riferendosi alla sua Francia. Figuriamoci che cosa avrebbe detto il temibile generale a proposito dei suoi poco amati vicini italiani, che di formaggi ne vantano 487, praticamente il doppio.
Insomma, Italia batte Francia 2-1, al netto delle instabilità dei rispettivi esecutivi. Eppure qui da noi non è che i formaggi se la passino tanto bene. Certo, i numeri sono in crescita, i 55 formaggi Dop e Igp nel 2023 hanno fatto registrare un aumento del 2,7 per cento di produzione e il fatturato alla produzione ha superato i 5 miliardi di euro (quello al consumo è a 8,6 miliardi). Ma il modo in cui sono proposti nei ristoranti è nella gran parte dei casi sbagliatto, contrariamente a quello che accade in Francia, dove un buon carrello dei formaggi è la norma anche nei ristoranti medi e dove spesso un Camembert o un Roquefort è suggerita come una buona alternativa a un dessert.
Ma ora le cose dovrebbero cambiare, grazie al patto concluso tra l’Afidop, l’associazione dei produttori dei formaggi tutelati, e la Fipe, la federazione dei pubblici esercizi. Il protocollo d’intesa prevede delle linee guida su come 21 dei 55 formaggi italiani Dop e Igp (ma presto se ne aggiungeranno degli altri) dovranno essere presentati nei ristoranti di ogni livello. Il primo passo è l’uso corretto ed esteso del nome. Si dovrà scrivere nel menu ad esempio Mozzarella di Bufala Campana Dop e dovranno essere anche indicata la tipologia e la forma. Dovranno essere assolutamente evitate diciture di fantasia o spannometriche. Sarà anche opportuno riportare in menu la stagionatura, aspetto molto importante. Si potrà provare a educare (o forse «rieducare») il cliente fornendo informazioni supplementari come il fatto se un formaggio è biologico, a caglio vegetale, prodotto in un territorio con qualche caratteristica particolare.
Per quanto riguarda il servizio, il protocollo consiglia di servire i vari formaggi alla temperatura ideale (ad esempio l’Asiago Dop, il Caciocavallo Silano Dop e il Montasio Dop richiedono la temperatura ambiente per esprimere al meglio le proprie caratteristiche organolettiche e quindi andrebbero tolti dal frigorifero un’ora prima del servizio. Lo stesso vale per la Mozzarella di Bufala Campana Dop, per la quale vale la pena di dare un’occhiata alle indicazioni riportate in etichetta, mentre il Quartirolo Lombardo Dop richiede solo qualche minuto e lo Strachitunt Dop addirittura due ore. Quanto al Parmigiano Reggiano Dop, al Grana Padano Dop e al Pecorino Romano Dop andrebbero grattugiati al momento. E se proprio si vuole usare la discutibile formaggiera, che almeno il prodotto venga sostituito ogni giorno.
Se poi il ristoratore ha intenzione di creare un carrello dei formaggi, oggetto questo di grande suggestione ed effetto scenico, dovrà assicurarsi che le tipologie vengano correttamente indicate, così come l’eventuale stagionatura. L’Afidop incoraggia gli chef a valorizzare i formaggi in purezza, al netto dei consueti utilizzi come ingredienti (che cosa sarebbe una Cacio& Pepe senza il Pecorino Romano Dop?). Incoraggiato anche l’uso di miele e le composte come accompagnamento.
L’alleanza tra «formaggiai» e ristoratori si propone anche di combattere il fenomeno dell’italian sounding, quella pratica non necessariamente illegale ma di solito scorretta per cui si commercializzano all’estero prodotti simili a quelli italiani con nomi che richiamano una presunta italianità. Il giro d’affari è secondo l’ultimo rapporto Ismea-Masaf superiore ai 90 miliardi l’anno, quasi il doppio dei 58 miliardi fatturati dall’export del made in Italy alimentare. Un danno enorme per la nostra bilancia dei pagamenti. Ma chi non tratta bene i propri orgogli non merita poi di lamentarsi se vengono imitati e contraffatti.