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 2024  maggio 13 Lunedì calendario

«La Cina cresce ma ha perduto l’antica sapienza»

Yu Hua, il grande scrittore cinese molto amato in Italia, più volte candidato al Nobel e già Premio Grinzane 2018, ha presentato domenica 12 maggio al Salone del Libro di Torino il suo ultimo libro La città che non c’è (tra i più venduti in fiera) ambientato nella Cina degli inizi del Novecento. Autore visionario, epico, corale, si può definire l’Akira Kurosawa – in versione cinese – della letteratura. Abbiamo dialogato con lui della Cina di ieri e di oggi.
Il protagonista Lin Xiangfu è un gran lavoratore, crede ostinatamente nell’amore, nel suo periplo protegge la figlia e conserva la fortuna ottenuta ipotecando le sue terre nel Nord. Con lui ha voluto esaltare la morale perduta della tradizione cinese?
«Proprio così. Ho utilizzato alcuni aspetti della moralità della Cina arcaica anche perché volevo criticare i cinesi di oggi che sono molto meno responsabili e somigliano un po’ agli uomini italiani in questa mutazione epocale. Volevo far rivivere un modo di intendere la vita che è scomparso. Però se mi si chiede di tornare in quella Cina direi di no, perché era troppo arretrata. Basta vedere la fatica che fa il personaggio per andare dal Sud al Nord a cercare la sua donna che si è dileguata. Secondo me la Cina è un modello di avanzamento economico e politico, però ha perso quella sapienza antica. E io elaboro questo vuoto. Del resto nel cuore di tutti noi c’è una città che non c’è, un luogo in cui si sono perdute delle cose che non possiamo più ritrovare».
"La città che non c’è” è un libro di nostalgia per il passato e di proiezione verso il futuro. Ma prevale la nostalgia o la critica rispetto a quella Cina in decadenza che poi subirà il contraccolpo della rivoluzione culturale?
«Quella Cina di inizio Novecento non ha uno stretto rapporto con quella della rivoluzione culturale. È una Cina in totale confusione con una grande instabilità economica. Anche durante la rivoluzione c’è stata instabilità politica, parecchi governi locali sono stati deposti e c’era un continuo ricambio di quadri di partito, ma il presidente Mao controllava il paese a livello centrale. Sono due epoche che pure avendo elementi in comune sono completamente diverse».
Il romanzo racconta un impero millenario in disgregazione. Le lotte intestine, il flagello e le razzie del brigantaggio, l’indignazione dei benpensanti e la resistenza dei poveri. La corruzione e la sopraffazione sono mali ancora presenti nella Cina contemporanea?
«La corruzione appartiene all’essere umano e quindi non diminuisce. Cambiano i modi di esercitarla ma anche banalmente a causa del progresso. Per esempio non usiamo più i contanti e quindi sono diminuite le rapine in banca. Ma aumentano esponenzialmente le frodi online».
La coralità sembra essere una cifra della sua letteratura. Lei si prende cura di tutti i personaggi dell’epopea della “Città che non c’è”. La Cina oggi sacrifica l’individuo e l’armonia sociale oppure secondo lei è in grado di recuperare quello che solo la letteratura sembra riuscire far rivivere?
«Sì è vero, il romanzo è un mosaico di storie, ma soprattutto un intreccio di sentimenti e atteggiamenti sociali e morali. C’è questa volontà di aiutarsi in tutto, di resistere insieme. Io non credo che nella Cina di oggi permanga questa coralità e credo che andrà sempre più diminuendo. Ma questo non è un problema solo della Cina, ma è un problema di tutta l’umanità».
Le storie del suo libro appartengono profondamente anche al passato italiano ed europeo. Ma la Cina oggi si separa sempre di più alleandosi con la Russia e capeggiando un nuovo blocco anti-occidentale. Ci sarà spazio in futuro per riscoprire il legame culturale che lei testimonia con la sua scrittura?
«La Guerra in Ucraina ha portato ad uno scenario inedito. Voi europei dovete però considerare che la Cina ha migliaia di chilometri di confine con la Russia e ci sono quindi forti osmosi tra le popolazioni locali e rapporti economici importanti. Sono popoli che hanno rapporti consolidati nel tempo e ravvicinati. Dunque è molto difficile per il governo centrale avere una sorta di controllo di quello che avviene in queste zone di confine. Io penso che le elezioni americane avranno conseguenze sui rapporti anche tra Cina ed Europa perché io penso che Trump è un po’ un personaggio da rivoluzione culturale. Se venisse eletto e i rapporti tra Stati Uniti ed Europa si dovessero deteriorare è molto più facile che Cina ed Europa si riavvicinino. Quello che succederà negli Stati Uniti inciderà profondamente nei rapporti globali».