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 2024  maggio 13 Lunedì calendario

Intervista a Ele A

Ele A, l’altra faccia del rap arriva da Lugano: “Non mi interessano orologi e macchinoni, per me la musica è come il cinema”
Classe 2002, l’artista svizzera ha già collaborato con nomi importanti come Guè e VillaBanks: “Dietro lo strato autocelebrativo nel rap c’è sempre un’emotività”
Prima anomalia: Ele A, vero nome Eleonora Antognini, non arriva dalle periferie complicate. È di Lugano, Svizzera, luogo tutt’altro che disagiato. Seconda anomalia: è una rapper a tutti gli effetti ma nelle sue canzoni non c’è traccia di contenuti duri. Classe 2002, ha pubblicato il suo primo ep, Zerodue demo, nel giugno del 2002. Poi ha messo insieme collaborazioni importanti, da Guè a Laurent Bardainne fino a Joan Thiele e VillaBanks. Pochi giorni fa ha pubblicato il nuovo ep Acqua, sette brani che contengono un po’ tutti i suoi stili di riferimento (rap old school, drum‘n’bass, funk) e una collaborazione con Nerissima Serpe, altra figura in ascesa nel mondo dell’hip hop italiano. Temi del disco: tentativi di fuga dalla propria realtà, ansia generazionale, autodistruzione.
Il suo racconto è diverso da quella che normalmente ascoltiamo nel rap: niente sesso, orologi, ostentazione di ricchezza. Sullo sfondo non c’è l’epica del quartiere, ma un lago e un paese ricco dove “anche Dio è neutrale”.
“In realtà mi sento differente dall’immaginario tipico del rap perché, per quanto potrebbe anche farmi piacere parlare di macchinoni e orologi, non mi appartiene. Per me ha senso raccontare la propria realtà. Però questa abitudine dell’ostentazione è molto legata all’Italia: in Francia, per esempio, in molti hanno una narrativa simile alla mia. Resto sempre dell’idea che anche da noi ci sia spazio anche per altri tipi di narrativa. In questo senso, cercherò di fare delle produzioni che possano distinguermi”.
In una sua canzone (“Oblò”) dice “se vado in coma chissà quanto vendo”. Ma considerando che dice anche “usi la musica per avere altro, per me è l’obiettivo finale” suona come una presa di distanza.
"Forse le due frasi sono più slegate di quanto sembri. Resta convinta che se non sei proprio innamorato della tua passione non vai da nessuna parte, per questo il mio obiettivo è solo la musica. La seconda è più legata al fatto che tanti artisti sono morti, andati in overdose, e un evento così tragico diventa un mezzo per essere ascoltato, ma non è detto che un fatto così tragico avvenga volontariamente. La reazione del pubblico di solito è quella”.
Un po’ come le persone che si fermano in macchina per guardare l’incidente. In ogni caso, la sensazione è che lei sia una cantautrice rap che racconta storie piene di sentimento. Cosa la avvicina a colleghi come Guè o VillaBanks, che propongono una narrazione molto distante dalla sua?
"In realtà non ascolto così tanto rap. Mi piacciono tante cose lontane da me, vivo la musica come il cinema, l’immedesimazione è importante, ma mi interesse anche ascoltare un brano di uno che racconta che è distante dal mio mondo. Guè, per esempio, ha un immaginario molto cinematografico, adoro il modo in cui racconta le cose: nessuno in Italia è come lui. Anche come lui. Anche VillaBanks è una persona molto carina, che ti fa sentire a tuo agio. Si è creata un’ottima chimica in studio”.

“Neve” è un racconto molto toccante sull’autodistruzione. È una storia vera?
“L’ho scritta di getto, dietro allo strato autocelebrativo nel rap c’è sempre un’emotività. L’autodistruzione altrui mi tocca moltissimo, mi ferisce, perché quando te la trovi davanti spesso puoi fare poco. Credo sia un tipo di esperienza capitata a molte persone. Avevo necessità di raccontare una storia come questa. L’ho scritta in due momenti differenti. È una raccolta di varie esperienze, dirette e non, esperienze diverse, volevo fornire prospettive diverse”.
Viene da una famiglia di musicisti e ha studiato violoncello. In cosa l’ha aiutata questo suo bagaglio?
"La disciplina che mi ha trasmesso. Ho iniziato quando ero piccola, e ringrazio i miei per avermi costretta a fare quel tipo di percorso. Il fatto di aver imparato che le cose si ottengono con fatica è stato utilissimo. So che per arrivare a quello che voglio c’è bisogno da tanto lavoro. Non mi piaceva per niente suonare quello strumento, ma far parte di un’orchestra ti dà un’energia che non trovi altrove. Vorrei portare il violoncello nel rap, anche se non lo suono mai, magari con una band, mi piacerebbe vedere che effetto fa interagire su un terreno completamente diverso da quello su cui ho imparato a suonarlo. Ma devo confessare che da piccola la classica non mi andava giù, forse perché ero costretta ad ascoltarla. Magari per questo sono finita all’hip hop, che è proprio l’opposto. E la cosa che desidero di più è riuscire a farmi capire completamente”.