il Giornale, 13 maggio 2024
Intervista ad Arianna Meloni
Arianna Meloni, 48 anni, in politica da 30, sorella di Giorgia, ha responsabilità pesanti al vertice del partito. Ma non le piace la ribalta. Preferisce lavorare dietro le quinte. L’intervista non è una cosa che ama. Però stavolta ha ceduto.
Innanzitutto auguri per la festa della mamma. Lei ha due figlie adolescenti: che tipo di mamma è? È apprensiva?
«Grazie. No, direi di no. Certo, sono una mamma della nuova generazione. I nostri genitori avevano meno preoccupazioni, noi tendiamo a controllare di più. Però penso che dovremmo smetterla di fare i sindacalisti dei nostri figli. Noi genitori di questa epoca tendiamo a difendere spesso le loro ragioni, a volte anche quando hanno torto. Io, nel dubbio, mi schiero con i professori (sorride)».
Beh, e se un professore prende di mira il ragazzo?
«Ma, guardi, a volte la giusta rigidità da parte di alcuni professori nei confronti di ragazzi, magari svogliati, viene scambiata per un prendere di mira. È sbagliato. Il rapporto studenti-docenti deve senz’altro tornare a essere di reciproco rispetto. Io dico: ragazzi, trovate il sistema per trasformare le criticità in opportunità, e provate a farlo da soli. Non sono la mamma o il papà che risolvono il problema. Se invece si dà sempre ragione ai figli in modo incondizionato, non stupiamoci poi se i figli non impareranno quanto sia importante il rispetto dei ruoli e delle persone».
Il rispetto dei ruoli?
«Sì, vale nei confronti dei professori come dei medici, dei camerieri e di qualunque altra professione».
C’è una tendenza a considerarsi sempre vittime?
«A volte sì. Spesso si sente dire: mi perseguitano, mi emarginano. Credo che invece occorra prima di tutto domandarsi se ci si è davvero impegnati al massimo di fronte a un obiettivo. Non c’è nessuno che ogni tanto dice beh, non sono capace... C’è Arianna! (ride)».
Entriamo nell’attualità politica: l’8 e 9 giugno si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. Lei ha detto: «Portiamo il nostro modello in Europa». Qual è il modello italiano che Fratelli d’Italia vuole portare in Europa?
«Vorremmo portare l’Europa a essere centrale in Occidente, e l’Italia a essere centrale in Europa in tutti i processi decisionali: dallo sviluppo industriale alla difesa comune, dalla gestione dei fenomeni migratori alla Pac, la politica agricola. Le imminenti elezioni sono una straordinaria occasione per cambiare l’assetto politico europeo e fare dell’Italia, dell’orgoglio italiano, il perno di una nuova Europa. Ecco perché votare Giorgia e Fratelli d’Italia il prossimo giugno è fondamentale per dare maggiore forza e peso alla nostra Nazione in Europa. E Giorgia è stimata ovunque. Tutti la guardano come un esempio».
Perché, secondo lei?
«Perché è una persona che non è mai scesa a compromessi, che è arrivata al governo dicendo quel che pensa e facendo quel che dice. Sempre. Tutto il partito è così. Noi siamo una comunità umana e politica con i piedi per terra, che porta avanti valori precisi e una visione chiara e coerente. Niente promesse mirabolanti, nulla che non si senta in grado di poter realizzare. In una parola: serietà».
E ora avete il fardello del governo?
«Più che fardello direi un onere e, al contempo, un onore. Fratelli d’Italia è il primo partito italiano ed esprime il presidente del Consiglio e diversi autorevoli ministri. Ci siamo trovati a governare in una fase storica particolarmente complessa sotto tanti profili. Ma siamo riusciti subito a dare stabilità».
Come ci siete riusciti?
«A differenza del passato, la maggioranza che sostiene Giorgia non è un’alleanza di partiti che in campagna elettorale si sono fatti la guerra per poi governare insieme nel nome di qualche poltrona. Noi siamo andati al voto insieme ai nostri alleati con un programma comune, lo abbiamo sostenuto in campagna elettorale e, una volta vinte le elezioni, abbiamo iniziato a realizzarlo».
Se dovesse dirmi un solo obiettivo di questo governo?
«Ce ne sono molti, ovviamente. Se dovessi sceglierne uno, direi: portare la Nazione a sentirsi una vera e propria comunità nazionale. Riscoprire il senso civico, l’orgoglio e l’appartenenza. Sentirsi un’unica comunità significa anche, in concreto, riconoscere il merito, premiarlo, ma non lasciare mai indietro i più fragili e i meno fortunati. Però, aiutare i più deboli non significa, in automatico, politica delle mance. E questo il governo Meloni lo ha messo in chiaro sin da subito».
Era la politica dei governi precedenti?
«Sì, perché le maggioranze erano divise su tutto, e allora cercavano il facile consenso attraverso le mance, abbandonando le politiche attive per il lavoro e preferendo l’assistenzialismo di Stato. Noi di Fdi vogliamo cambiare questo approccio. Abbiamo iniziato a fare politica non con l’idea di andare al potere, di controllare la cassaforte e di distribuire mance per farci rieleggere. La politica sana è l’esatto contrario. Ed è un costante sacrificio, nell’accezione antica del fare sacro, del donarsi».
Parla in prima persona?
«Credo di sì. Fare politica non è solo fare il deputato o il consigliere o il ministro. Politica è appunto senso di appartenenza a un progetto nel quale moltissime figure imprescindibili sono dietro le quinte e contribuiscono alla realizzazione di un programma al pari di chi ricopre incarichi pubblici ed elettivi. Facciamo politica da decenni, abbiamo un’organizzazione giovanile stupenda fatta di ragazzi che lavorano e si battono per idee e ideali».
Lei fa politica da quando aveva 17 anni. Aveva lo stesso fuoco che hanno i ragazzi di destra di oggi?
«Sì. Anche se per noi forse è stato più immediato. Io sono entrata in politica ai tempi di Tangentopoli e delle stragi di mafia. C’era una spinta al cambiamento e alla partecipazione attiva molto forte».
Come ha fatto la sua scelta di campo?
«È accaduto dopo aver assistito a una scena pazzesca alla Garbatella. Gli autonomi di sinistra aggredivano un gruppo del Fronte della Gioventù. Picchiavano duro e dicevano: Voi qui non entrate. Ero con un’amica che mi ha trascinato via, perché a me ribolliva il sangue e volevo intervenire. Non sopporto la vigliaccheria. Lì è scattato qualcosa di fortissimo dentro di me».
E oggi?
«Oggi è più difficile. I ragazzi, in genere, sono meno impegnati. La politica attira poco. La nostra organizzazione giovanile invece è rimasta viva».
Quando vede i ragazzi che contestano?
«Apprezzo. È un bene contestare quel che si considera sbagliato, soprattutto quando si è giovani. Ma attenzione: un conto è la contestazione entro il perimetro delle regole democratiche, altro è assistere a una dinamica di aggressione e sopraffazione come quella di cui è stata recentemente vittima il ministro Roccella, alla quale non è stato consentito di esprimere le proprie idee. Questo non è tollerabile e in tal senso mi riconosco totalmente nelle parole del presidente Mattarella, che ha voluto esprimerle vicinanza e solidarietà».
A 17 anni avrebbe mai pensato di diventare una donna che ha in mano il più grande partito d’Italia?
«Io non ho in mano un partito, io sono una donna di partito. Una delle tante dirigenti di Fratelli d’Italia. Noi abbiamo 50 dipartimenti nazionali. Poi ci sono i dipartimenti regionali e comunali. Io ho un ruolo, una certa anzianità. Mi occupo molto del rapporto con i territori: questo è il senso della segreteria politica. Non sono il capo del partito. Lo dirigo insieme a tanti altri validissimi dirigenti».
A lei piace stare dietro le quinte?
«Sì. E lo rivendico».
Per timidezza?
«Anche».
Però ha carisma.
«Non so. Non giudico io. Io sto bene nel mio ruolo. Non ho mai sentito l’esigenza di fare altro o di avere un ruolo pubblico. Spero che questo mio modo di fare politica possa essere anche d’esempio».
Qual è il senso della politica quando si governa?
«Capire il punto di caduta di quel che si fa. Immaginare non solo le conseguenze immediate, ma le conseguenze tra 10, 20 anni. In questo Giorgia è la persona che in Italia ha maggiore capacità di visione del futuro e di sintesi straordinaria».
Parliamo del premierato.
«È una delle nostre storiche battaglie: restituire agli italiani vera centralità dando loro la facoltà di scegliere da chi essere governati. Basta con i giochi di Palazzo, con manovre sotterranee in barba alla volontà del popolo. Vogliamo che non accada più che chi non vince le elezioni possa comunque governare e realizzare un programma bocciato nelle urne».
Questo col premierato sparisce?
«Sì. Gli italiani in questo modo avranno la garanzia di veder rispettata la loro volontà. La sovranità appartiene al popolo e attraverso questa riforma la sovranità potrà essere davvero compiuta. E credo che l’astensione scenderà perché cambierà il rapporto tra cittadini e politica».
Lei si spiega perché tanta opposizione?
«Non capisco questa levata di scudi contro una proposta che semplifica e fa chiarezza nel dare un governo stabile all’Italia. Non è una riforma cucita su misura sul governo Meloni, è una riforma che restituisce solidità a chiunque andrà a governare in futuro, al di là dei partiti, in un’ottica di rispetto della politica dell’alternanza. Poi, in realtà, se penso che la sinistra è stata al governo per 10 anni senza mai vincere le elezioni, capisco il motivo per il quale avversa una riforma che permette di andare a Palazzo Chigi solo dopo aver ottenuto il consenso degli italiani...».
Con l’instabilità si perde fiducia?
«Sì. Il deficit di fiducia va a intaccare non solo il rapporto con i cittadini, ma anche la propria autorevolezza sul piano internazionale. Se una nazione si presenta ai vertici europei con un presidente del Consiglio che cambia tutti gli anni, è ovvio che nessuno in Europa considererà quella nazione come un partner serio e affidabile».
Quale sarà in Europa la posizione di Fdi?
«Avremo senz’altro un approccio costruttivo, ma, al contempo, continueremo, come sempre fatto, a difendere l’interesse dell’Italia. L’Europa ha una storia grandiosa. Vogliamo risvegliare in tutti l’orgoglio di sentirci europei. Di stare dentro un’Europa dei popoli, dove tutti preservano le proprie specificità appartenendo a un’unica anima, e dove nessuno si possa trovare in una condizione di subalternità».
E con un’unica anima affronti temi come l’immigrazione?
«Certo. Pensi al Piano Mattei, che va realizzato insieme all’Europa e all’Africa. Abbiamo appena iniziato ma già si sta superando quell’approccio da un lato predatorio e dall’altro esclusivamente inclusivo (mi passi il gioco di parole) che mai ha saputo risolvere il fenomeno dell’immigrazione incontrollata. Il Piano Mattei è nell’interesse reciproco di Italia e Africa, promuove e organizza lo sviluppo per le nazioni africane, e non a discapito di esse. Davvero l’idea di Enrico Mattei. Quando Giorgia ha incontrato i presidenti di tutti gli Stati africani, è stata un’immagine bellissima».
È orgogliosa di come sta lavorando sua sorella?
«Molto, davvero. Io poi mi commuovo facilmente. Sta dimostrando non solo intelligenza e capacità, ma anche una grande forza e una straordinaria serietà».
E Giorgia è orgogliosa di lei?
«Non lo so (sorride). Però per ora non mi ha mai ripreso, quindi credo vada bene così...».
Lei, così timida, che sensazione prova quando sta per cominciare un comizio?
«Un po’ di ansia, poi mi passa».
La angoscia la stampa?
«Ci sono molti giornalisti che fanno bene il loro lavoro, spesso si accreditano alle nostre manifestazioni e raccontano, in modo oggettivo, il nostro impegno e, perché no, a volte anche i nostri limiti. Altri, per la verità, hanno un atteggiamento ideologico e tendono a utilizzare parole o espressioni per distorcerne il significato. Più che alle polemiche fini a se stesse, preferisco i fatti».
Qual è la sua paura più grande nel fare politica?
«Chi fa politica è chiamato a prendere delle decisioni, e le nostre scelte hanno effetti concreti nella vita delle persone. Abbiamo una grandissima responsabilità, ne sento il peso ogni giorno. Ma poi la voglia di dare un futuro alle nuove generazioni vince sempre».
Che dice alla gente, quando le parla?
«Noi siamo quelli che siamo e vogliamo restare quel che siamo, con serietà, trasparenza e coerenza. Mai avere più di una faccia, mai tradire la parola data. Questa è la nostra vittoria. Questa è la politica».