la Repubblica, 13 maggio 2024
Sulla sordità di Beethoven
Come si sa, la sordità di Beethoven è uno dei più misteriosi casi “di scuola” sul rapporto con il destino che hanno le malattie. In genere lo rovesciano e lo sconfiggono: Marie Curie morì consumata dalle radiazioni che aveva scoperto e Freud, che sulla parola aveva costruito il suo genio, morì di cancro alla bocca. Solo Beethoven riuscì a non arrendersi quando l’orecchio, che era la sua forza, divenne la sua debolezza. Insomma, il mistero di Beethoven non è la malattia che lo aggredì proprio nella sede fisica del suo genio, ma è la vittoria del suo genio su quella malattia.La notizia è questa: hanno trovato dosi altissime di piombo in due ciocche di capelli di Beethoven, sicuramente autentiche, e hanno così confermato la vecchia ipotesi di saturnismo. Secondo la rivistaClinical Chemistry, che ha pubblicato i risultati di una lunga ricerca scientifica e storica, fu il vino addolcito e alterato dal piombo ad avvelenarlo per tutta la vita, visto che ne beveva un litro al giorno. E, secondo loro, fu il piombo che attorno ai trent’anni lo rese sordo oltre a causargli l’epatite, dolori di stomaco, diarrea cronica, asma, aritmia cardiaca, insufficienza renale. La sordità di Beethoven, che nacque nel 1770, divenne totale nel 1816. La prima sinfonia fu presentata a Vienna nel 1800. L’immagine che sarebbe bello avere perché meglio racconta la ricchezza problematica che c’è nella malattia è quella del sordo che, a Vienna, il 7 maggio 1824, a tre anni dalla morte, alla prima della Nona,composta in totale sordità, dirige l’orchestra agitandosi sul palco con un’energia indisciplinata e non sa che il pubblico, alle sue spalle, già al secondo movimento, in piedi lo sta applaudendo da qualche minuto. Più che negli altri suoi capolavori c’è nellaNona,con il suoInno alla gioia, il mistero della malattia che diventa un eccesso di qualità. Allo steso modo – si racconta – fu il piombo che Van Gogh assorbì dai colori, addirittura succhiando i tubetti del giallo, ad aggredire la sua percezione del giallo che dilagò dal suo cervello alla sua arte. Al contrario, quando l’intossicazione da piombo, che stava nelle condutture e nelle pentole, aveva invaso il cervello degli imperatori romani, il troppo potere, che solo l’intelligenza sarebbe riuscita a tenere a bada, aveva rotto gli argini della ragione. E dunque il giovane Caligola nominò console il suo cavallo, l’unica creatura di cui si fidasse, Nerone incendiò Roma per costruirsi un palazzo più bello, Tiberio si depravò a Capri. In genere la malattia vince e può addirittura somigliare al contrappasso: un tumore alla gamba stroncò Ferdinando II, l’uomo che aveva fatto dell’immobilismo la sua politica. La casistica è sterminata. Come non vedere per esempio nell’ictus che uccise Enrico Berlinguer la passione troppo accesa che ruppe gli argini di un corpo troppo piccolo e composto e consegnò alla storia un comizio interrotto e un eroe incompiuto come epica della politica italiana?