La Stampa, 13 maggio 2024
Intervista ad Antonio Scurati
Antonio Scurati dice che non va messa sul personale. Certo, la censura in Rai al suo monologo sul 25 Aprile è stato oggettivamente un caso. Ma il problema non è Antonio Scurati in sé. È piuttosto il clima che si respira. Il problema è la deriva che lo scrittore non ha paura a definire «svolta illiberale». «È un dato di fatto che gli intellettuali liberi, scrittori, artisti e studiosi, vengano indicati dall’attuale governo come nemici. A prescindere dal mio caso personale, un monologo che celebrava la resistenza antifascista è stato cancellato». Questo è un metodo antidemocratico e Scurati cita la memorabile lezione dell’ex presidente Sandro Pertini, il più amato di sempre: «Si dibatte qualsiasi idea, ci si batte su qualsiasi idea, non si attaccano mai le persone perché questo lo facevano i fascisti».
Intervenendo al Salone del Libro per presentare il suo ultimo pamphlet Fascismo e Populismo (Bompiani), stimolato dalle domande di della vice direttrice de La Stampa Annalisa Cuzzocrea, Scurati non si tira indietro. Dice che nonostante si sia trovato nella posizione di simbolo non ha mai fatto politica attiva, né «la farò prossimamente, se avessi voluto l’arei fatta al prossimo giro».
Lucido e affilato, l’autore dei tre tomi imprescindibili per capire il fascismo (M. il figlio del secolo premio Strega del 2018; M. l’uomo della provvidenza del 2020 e M. Gli ultimi giorni dell’Europa, 2022 – tutti editi da Bompiani) si è mosso tra passato e presente e ha tracciato preoccupanti analogie. Ha iniziato sfatando la favola bella che il fascismo fosse una sorta di burletta fino all’abbraccio mortale con il nazismo, ricordando come fin dall’inizio si nutrisse di violenza. Ha ribadito un concetto a lui caro, che «la storia della democrazia è sempre lotta per la democrazia», quando si smette di lottare cala anche il desiderio di democrazia. Come è successo negli anni del Riflusso, quei mitici e/o dannati anni Ottanta che hanno pasciuto Scurati e tutti noi suoi coetanei, «gli ultimi ragazzi del secolo scorso», figli di un Occidente decadente, che dopo 12 generazioni di lotta a partire della Rivoluzione francese hanno vissuto in un eterno presente fatto di discoteche, weekend al mare, privilegi, salute, agi e ricchezza.
E invece no. Aprite gli occhi, è il messaggio. Stiamo scivolando in un mondo illiberale, la democrazia è sotto attacco e si rischia di essere come i liberali del secolo scorso che non hanno capito la pericolosità di Mussolini. «I benpensanti, moderati, liberali, che allora dirigevano e scrivevano sul Corriere della Sera e che oggi continuano a dirigere e scrivere su quel giornale pensavano di saperla lunga e Albertini, intellettuale di punta del liberalismo italiano, chiese di scarcerare Mussolini», arrestato perché nel suo ufficio erano state trovate armi e granate. «E con questa straordinaria lungimiranza i moderati liberali che allora e oggi scrivono sul Corriere della Sera normalizzano l’abnorme. I leader sovranisti odierni non tengono strumenti di violenza nei loro uffici, ma questo atteggiamento di supponenza e saccenza liquidatoria interessata – perché dietro c’è un calcolo e non solo un abbaglio – tende a normalizzare l’abnorme. Io penso che questa normalizzazione dell’anomalia illiberale sia una grave colpa morale, un grave abbaglio intellettuale e una grave colpa storica».
Passando agli attacchi personali, Scurati ha affondato: «Quando il think tank del movimento giovanile del partito del capo del governo fa dei manifesti per la campagna elettorale in cui indica deridendoli, sbeffeggiandoli, denigrandoli i volti di scrittori, conduttori televisivi, giornalisti, attori come gli avversari che dovranno piangere alle prossime elezioni quando loro vinceranno, non c’è dubbio alcuno che stiano individuando dei nemici. Non indicano l’avversario politico, ma il nemico in un privato cittadino. Anche se nascosto dietro l’ironia o il sarcasmo, che in realtà è molto più sottile e sofisticato di questo, quando invochi il loro pianto sono dei nemici».
Sul caso della censura in Rai, Scurati va dritto al punto: «Non facciamo casi personali, per favore. Io non ne posso più di vedere la mia faccia. Non mi sopporto più io, pensate un po’ gli altri. Non dobbiamo personalizzare. È un processo storico, una dinamica sociale. Personalizzare significa fare un danno alla democrazia e fare un danno a queste persone». Poi chiarisce: «Io non ho mai parlato di censura, tantomeno di censura di Antonio Scurati. È oggettivo che un monologo per la Resistenza e la sua memoria è stato cancellato. Una delle ferite che viene inflitta alla matura e piena democrazia è che si tende a trasformare il dibattito di idee in attacchi contro le persone sul piano dell’insulto personale. Questa è la svolta illiberale. Quando sostengo delle idee e tu mi attacchi personalmente dandomi del poco di buono, dell’avido, del profittatore stai applicando un metodo antidemocratico che nella nostra storia, non quella dell’Unione Sovietica che ha fatto molto peggio, ha le sue radici nel fascismo».
Ci sono legami e analogie tra ieri e oggi. I populismi si cibano degli stessi semi di seduzione del fascismo. Mussolini si definiva «l’uomo del dopo: stava un passo indietro al popolo, per utilizzarne gli umori, per soffiare sulla paura». Diceva: «Io sono il popolo, che diventava il popolo sono io». Con tre gravi conseguenze: screditare i portatori di sapere (intellettuali, scienziati, medici, tecnocrati), perché sottraggono sovranità popolare; creare un nemico, perché chi è contro di me è contro il popolo e come tale può essere annientato. Terzo: gettare discredito sul Parlamento «vecchio, inetto, corrotto». Istituzione pletorica contro l’interesse del popolo. Fino all’assalto di Capital Hill.
Sui tentativi di riscrittura revisionista della storia Scurati ha piantato un paletto invalicabile. «La parola antifascista va custodita contro chi la denigra. E sono tanti, anche a sinistra. Antifascista non sono gli Antifa che spaccano le vetrine. Antifascista è la nostra Costituzione. Antifascista è quel signore dai capelli bianchi che siede al Quirinale e si chiama Sergio Mattarella. Sono i sindacati. Alcuni esponenti del governo stanno cercando in maniera esplicita di identificare questa parola con i terroristi degli anni Settanta che pure la usavano e l’hanno umiliata e infangata. Non ci sono due versioni di quel che è successo ormai 100 anni fa, «ci sono due memorie, ricordi da una parte e dall’altra, e poi, come ha detto lo storico Alessandro Barbero, c’è la Storia. La Storia ci deve tirare fuori dalla condanna della memoria personale, dagli accanimenti e dall’odio». —